VARIE - Iniziativa Laica Ingauna

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DA EMANCIPAZIONE A FATICA LA METAMORFOSI DEL LAVORO
Nadia Urbinati - La Repubblica 06/04/2016
 
IL DECLINO del riformismo sociale, scrive Ezio Mauro, è il segnale di una crisi ben più vasta che coinvolge lo stato democratico. Un declino che ha coinciso con l'emergere di fattori di mutamento profondi per la trasformazione dei rapporti politici connessi al lavoro: il declino del compromesso tra capitalismo e democrazia (per la trasformazione del primo da industriale a finanziario) e l'apertura dei confini simbolizzata dalla fine della Guerra fredda.
Le frontiere hanno consentito il riformismo sociale e la costruzione delle democrazie. In sostanza hanno reso possibile il compromesso tra capitalismo e democrazia, per cui chi possedeva i mezzi di produzione ha accettato istituzioni politiche nelle quali le decisioni erano prese contando i voti di tutti. Il keynesianesimo ha dato i fondamenti ideologici e politici di questo compromesso, e lo ha fatto rispondendo alla crisi devastante del 1929 che lasciò sul tappeto una disoccupazione tremenda e regimi totalitari.
 

IL FUTURO DI SOCIETÀ SEMPRE PIÙ VECCHIE
Chiara Saraceno - La Repubblica 30/03/2016
 
BASTA guardarsi intorno, in famiglia, per le strade, negli ambulatori medici, nei parchi: la popolazione anziana è numerosa e visibile dappertutto, persino fuori dalle scuole, dove il numero dei nonni spesso compete con quello dei genitori che aspettano l'uscita dei bambini. Il fenomeno dell'invecchiamento della popolazione è in atto dappertutto, segnala il rapporto Aging World: 2015, condotto dai ricercatori del Census Bureau statunitense. Ma è particolarmente visibile nelle società più sviluppate, dove l'aumento delle speranze di vita si combina con una bassa fecondità.
Proprio per questo l'Italia, insieme alla Germania, guida i 22 paesi più vecchi in assoluto in Europa ed è terza a livello mondiale ( dove il Giappone è al primo posto): perché in questi paesi si vive molto a lungo, ma anche perché c'è poco ricambio e il tasso di fecondità è ampiamente al di sotto del livello di sostituzione. Se tutti i paesi, quindi, devono fronteggiare le fragilità di un numero crescente di grandi vecchi – gli ultraottantenni che gli estensori del rapporto stimano triplicheranno nel corso dei prossimi trentacinque anni (nel 2050 si passerà da 126,5 milioni a 446,6 milioni di over 80, l'Italia scenderà al 15esimo posto, mentre il Giappone resterà primo; gli over 65 saranno 1,6 miliardi pari al 17% contro l' 8,5% del 2015,
 

PERCHÉ IL BISOGNO DI GIUSTIZIA È PIÙ FORTE DEL RELATIVISMO ETICO
Vito Mancuso - La Repubblica 22/03/2016
 
Da una raccolta di saggi d'autore dedicati a Gustavo Zagrebelsky una riflessione sulle radici della nostra "voce della coscienza"
La principale malattia spirituale del nostro tempo consiste nell'incapacità di fondare nella coscienza l'imperatività della giustizia, ovvero di rispondere al perché si debba sempre fare il bene e operare ciò che è giusto anche in assenza di interessi, o addirittura contro i propri interessi. Rimandando a Dio e ai suoi comandamenti, l'etica religiosa tradizionale è capace di assolutezza, ma paga questa sua capacità con l'incapacità di universalità e quindi di tolleranza. D'altro canto l'etica laica nei suoi modelli fondamentali (giusnaturalismo, consensus gentium, formalismo, utilitarismo) è sì capace di tolleranza, ma incapace di generare l'assolutezza dell'obbedienza; anzi, applicando la tolleranza al proprio io nella pratica concreta, i soggetti trovano non di rado una comoda giustificazione alla loro incoerenza rispetto all'imperativo etico.
Il risultato è che oggi non si sa più rispondere al perché il bene dovrebbe essere sempre meglio del male. Tale assenza di fondazione è una grave minaccia che incombe sull'etica in quanto tale, perché in mancanza di fondazione o c'è imperatività senza discernimento, come nel caso del fanatismo, o non c'è imperatività e quindi non c'è etica, come nel caso dell'utilitarismo opportunistico.
 

PER BATTERE FANATISMO E TERRORISMO BISOGNA LAVORARE SULLA CONOSCENZA
Edgar Morin - La Repubblica 12/02/2016
 
L'Unesco alla sua fondazione aveva sostenuto che la guerra si trova in primo luogo nella mente. Ed ha voluto promuovere un'educazione per la pace. Ma non può che essere banale insegnare che la pace è meglio della guerra, cosa evidente in tempo di pace. Il problema si pone quando lo spirito guerresco sommerge le mentalità. Educare alla pace significa quindi lottare per resistere allo spirito guerresco Detto questo, anche in tempo di pace si può sviluppare una forma estrema dello spirito guerresco: il fanatismo. Questo porta in sé la certezza della verità assoluta, la convinzione di agire per la più giusta causa e la volontà di distruggere come nemici coloro che gli si oppongono.
 

A SCUOLA
La Repubblica 12/02/2016

Quando deve spiegare ai suoi alunni cosa significa il termine "laïcité", Anne Doustaly procede al contrario. «Non è una guerra dello Stato contro la religione, non è una forma di discriminazione dei credenti». L'insegnante di storia e geografia comincia con togliere benzina dal fuoco: il tema è ormai incandescente. È martedì nel liceo Charlemagne, quartiere Marais. Al secondo piano, si fa lezione di laicità. La legge che stabilisce la separazione tra Stato e Chiesa risale a più di un secolo fa ma il dibattito è tornato acceso sui banchi di scuola. «Per molti ragazzi è un concetto ancora vago, spesso male interpretato. Mi stupisco di quanto sia necessario fare pedagogia su questo principio della République», racconta Doustaly.
 

CHE COSA MANCA AL PIANO PER I POVERI
Chiara Saraceno - La Repubblica 04/02/2016
 
CON molti anni di ritardo sulla gran parte dei Paesi dell'Unione europea, l'Italia sembrerebbe finalmente avviata ad introdurre nel proprio sistema di protezione sociale una garanzia di reddito minimo per chi si trova in povertà assoluta, ovvero per chi non riesce a soddisfare i propri bisogni essenziali: quattro milioni circa di persone (di cui un milione sono minori), secondo le stime Istat, distribuite in 1.470.000 famiglie. Il condizionale è d'obbligo, perché gli stanziamenti previsti per questa misura per l'anno in corso, ma anche a regime, sono molto ridotti e, per un aspetto fondamentale (le misure di attivazione), precari.
 

GIUBILEO CATTO-LUTERANO
Lorenzo Tomasin - Il Sole 24 ore 10/01/2016

La parola giubileo, di origine ebraica, in alcune lingue europee significa «anniversario», «ricorrenza calendariale». In tedesco, ad esempio, tale è oggi il significato comune di Jubiläum: e nella terra Martin Lutero – ma anche in quelle di Calvino, Farel, Beda e Knox, i riformatori effigiati su un famoso muro di Ginevra – un giubileo s’attende per il 2017. È il cinquecentesimo anniversario della pubblicazione delle 95 tesi di Lutero. La suggestiva quasi-coincidenza del giubileo della Riforma e del giubileo proclamato, con un anno d’anticipo su quello, dalla chiesa di Roma, è stata notata in terra protestante, dove qualcuno ha persino temuto che l’uno rischi di (o addirittura miri a) mettere in ombra l’altro.



Gaetano Azzariti, Lorenza Carlassarre, Gianni Ferrara, Alessandro Pace, Stefano Rodotà, Massimo Villone
Il Mannifesto - 13/10/2015
 
La pro­po­sta di legge costi­tu­zio­nale che il senato voterà oggi dis­solve l’identità della Repub­blica nata dalla Resi­stenza. È inac­cet­ta­bile per il metodo e i con­te­nuti; lo è ancor di più in rap­porto alla legge elet­to­rale già approvata.
Nel metodo: è costruita per la soprav­vi­venza di un governo e di una mag­gio­ranza privi di qual­siasi legit­ti­ma­zione sostan­ziale dopo la sen­tenza con la quale la Corte costi­tu­zio­nale ha dichia­rato l’illegittimità del «Por­cel­lum». Mol­te­plici for­za­ture di prassi e rego­la­menti hanno deter­mi­nato in par­la­mento spac­ca­ture insa­na­bili tra le forze poli­ti­che, giun­gendo ora al voto finale con una mag­gio­ranza rac­co­gli­tic­cia e occa­sio­nale, che nem­meno esi­ste­rebbe senza il pre­mio di mag­gio­ranza dichia­rato illegittimo.
Nei con­te­nuti: la can­cel­la­zione della ele­zione diretta dei sena­tori, la dra­stica ridu­zione dei com­po­nenti — lasciando immu­tato il numero dei depu­tati — la com­po­si­zione fon­data su per­sone sele­zio­nate per la tito­la­rità di un diverso man­dato (e tratta da un ceto poli­tico di cui l’esperienza dimo­stra la pre­va­lente bassa qua­lità) col­pi­scono irri­me­dia­bil­mente il prin­ci­pio della rap­pre­sen­tanza poli­tica e gli equi­li­bri del sistema istituzionale.
Non basta l’argomento del taglio dei costi, che più e meglio poteva per­se­guirsi con scelte diverse. Né basta l’intento dichia­rato di costruire una più effi­ciente Repub­blica delle auto­no­mie, smen­tito dal com­plesso e far­ra­gi­noso pro­ce­di­mento legi­sla­tivo, e da un rap­porto stato-Regioni che solo in pic­cola parte rea­lizza obiet­tivi di razio­na­liz­za­zione e sem­pli­fi­ca­zione, deter­mi­nando per con­tro rischi di neo-centralismo.
Il vero obiet­tivo della riforma è lo spo­sta­mento dell’asse isti­tu­zio­nale a favore dell’esecutivo. Una prova si trae dalla intro­du­zione in Costi­tu­zione di un governo domi­nus dell’agenda dei lavori parlamentari.
Ma ne è soprat­tutto prova la siner­gia con la legge elet­to­rale «Ita­li­cum», che aggiunge all’azzeramento della rap­pre­sen­ta­ti­vità del senato l’indebolimento radi­cale della rap­pre­sen­ta­ti­vità della camera dei deputati.
Bal­lot­tag­gio, pre­mio di mag­gio­ranza alla sin­gola lista, soglie di accesso, voto bloc­cato sui capi­li­sta con­se­gnano la camera nelle mani del lea­der del par­tito vin­cente — anche con pochi voti — nella com­pe­ti­zione elet­to­rale, secondo il modello dell’uomo solo al comando.
Ne ven­gono effetti col­la­te­rali nega­tivi anche per il sistema di checks and balan­ces. Ne risente infatti l’elezione del Capo dello Stato, dei com­po­nenti della Corte costi­tu­zio­nale, del Csm. E ne esce inde­bo­lita la stessa rigi­dità della Costituzione.
La fun­zione di revi­sione rimane bica­me­rale, ma i numeri neces­sari sono alla Camera arti­fi­cial­mente garan­titi alla mag­gio­ranza di governo, men­tre in senato tro­viamo mem­bri privi di qual­siasi legit­ti­ma­zione sostan­ziale a par­te­ci­pare alla deli­ca­tis­sima fun­zione di modi­fi­care la Carta fondamentale.
L’incontro delle forze poli­ti­che anti­fa­sci­ste in Assem­blea costi­tuente trovò fon­da­mento nella con­di­vi­sione di essen­ziali obiet­tivi di egua­glianza e giu­sti­zia sociale, di tutela di libertà e diritti. Sul pro­getto poli­tico fu costruita un’architettura isti­tu­zio­nale fon­data sulla par­te­ci­pa­zione demo­cra­tica, sulla rap­pre­sen­tanza poli­tica, sull’equilibrio tra i poteri.
Il dise­gno di legge Renzi-Boschi stra­volge radi­cal­mente l’impianto della Costi­tu­zione del 1948, ed è volto ad affron­tare un momento sto­rico dif­fi­cile e una pesante crisi eco­no­mica con­cen­trando il potere sull’esecutivo, ridu­cendo la par­te­ci­pa­zione demo­cra­tica, met­tendo il bava­glio al dissenso.
Non basta certo in senso con­tra­rio l’argomento che la pro­po­sta riguarda solo i pro­fili orga­niz­za­tivi. L’impatto sulla sovra­nità popo­lare, sulla rap­pre­sen­tanza, sulla par­te­ci­pa­zione demo­cra­tica, sul diritto di voto è indiscutibile.
Più in gene­rale, l’assetto isti­tu­zio­nale è deci­sivo per l’attuazione dei diritti e delle libertà di cui alla prima parte, come è stato reso evi­dente dalla scia­gu­rata riforma dell’articolo 81 della Costituzione.
Biso­gna dun­que bat­tersi con­tro que­sta modi­fica della Costi­tu­zione. Facendo man­care il voto favo­re­vole della mag­gio­ranza asso­luta dei com­po­nenti in seconda deli­be­ra­zione. E poi con una bat­ta­glia refe­ren­da­ria come quella che fece cadere nel 2006, con il voto del popolo ita­liano, la riforma — pari­menti stra­vol­gente — appro­vata dal centrodestra.


COMUNICATO  STAMPA COMUNE DI ALBENGA
data:  venerdì 18 dicembre 2015

ALBENGA: Al via il Registro comunale del Testamento biologico “ La Giunta Comunale per rispondere ad una diffusa domanda sociale, rappresentata anche dall'Associazione Iniziativa Laica Ingauna, ha istituito "il Registro del Testamento biologico", al fine di riconoscere e tutelare la piena dignità delle persone e promuoverne il pubblico rispetto anche nella fase terminale della vita umana. “Con Delibera della Giunta Comunale del 17 dicembre 2015 – spiega il Sindaco Giorgio Cangiano - il Registro diventa attivo e operativo, dando ai cittadini residenti ad Albenga la possibilità di raccogliere e conservare le “Dichiarazioni anticipate di volontà”, dette anche “Testamento biologico”. Si tratta di documenti scritti contenenti le manifestazioni di volontà di coloro che intendono indicare in anticipo i trattamenti medici ai quali essere o non essere sottoposti nel caso in cui si trovassero in condizione d'incapacità, ferme restando comunque le valutazioni cliniche che dovrà effettuare il medico”. La persona che lo redige nomina un fiduciario che diviene, nel caso in cui la medesima diventi incapace, il soggetto chiamato a dare fedele esecuzione alla volontà della stessa per ciò che concerne le decisioni riguardanti i trattamenti sanitari da svolgere. "In assenza di una normativa nazionale – spiega il Vicesindaco Riccardo Tomatis - abbiamo ritenuto doveroso estendere il diritto di esprimersi sulla questione del fine vita a tutta la cittadinanza. Finora era un diritto riservato ad una ristretta cerchia di persone, che poteva ricorrere ad un servizio di uno studio notarile. Tengo a precisare che l’approvazione di questa Delibera non vincola il cittadino, è una scelta facoltativa e non definitiva, modificabile o revocabile in qualunque momento". Soddisfazione del prof. Corradi, presidente dell’Associazione Iniziativa laica Ingauna che afferma: “ l’approvazione della Delibera è una vittoria della Società civile e un significativo passo avanti verso quell’Italia laica ed europea fondata sulle libertà individuali e sul rispetto dei diritti fondamentali delle persone”. 

"ACCOGLIAMOLI MA NON A CASA MIA". L'ITALIA A DUE FACCE CON GLI IMMIGRATI
Ilvo Diamanti - La Repubblica 18/07/2015
 
VIVIAMO tempi inquieti. Sul crinale tra ferocia e paura. D'altronde, la paura incendia i sentimenti e i risentimenti. Così assistiamo, senza nemmeno stupirci, ai blocchi, alle manifestazioni, agli assalti che accompagnano i trasferimenti dei profughi in campi, scuole e caserme vuote. A Roma o a Treviso, non importa. Iniziative organizzate da residenti. Fiancheggiati da "militanti della paura", esterni alla comunità. Eppure l'Italia e, soprattutto, il Veneto sono da oltre un decennio terra di immigrazione. Dopo essere stati, per secoli, Paese di emigranti. Diretti oltre oceano, dove sono rimasti. A milioni.
VVV
 
 

È ORA DI LEGALIZZARE LE DROGHE
Roberto Saviano - L'Espresso 31/07/2015
 
Come spiegare a un adolescente cosa sia la droga e come farne uso? Lasciare che la questione venga affrontata tra le mura domestiche o iniziare un dibattito politico che poi diventi dibattito pubblico e che giocoforza coinvolga tutti, chi ci rappresenta, organi di stampa e noi?
 

LE TASSE E LA SINISTRA
Nadia Urbinati - La Repubblica 23/07/2015
 
SI DICEVA anni fa, "non lasciamo la patria alla destra". La competizione tra destra e sinistra riguardava allora la visione di comunità politica. In quel caso, la sinistra democratica sviluppò, grazie anche alla lungimiranza di intellettuali visionari come Jürgen Habarmas, l'idea di "patriottismo costituzionale". La patria non era una comunità identitaria che escludeva e discriminava, ma una comunità politica di condivisione di diritti eguali e di dignità. Si trattò di una grande competizione, che liberò la sinistra dalle maglie strette della classe e la legittimò a governare la società liberale. Oggi lo stesso discorso sembra doversi fare sulla questione delle tasse. Si dice, "non lasciamo la battaglia per meno tasse alla destra". Ovviamente la destra della lotta alle tasse non è quella comunitaria che voleva monopolizzare la patria. È invece quella che mette al centro l'individuo in funzione anti-sociale. Competere con una destra iper-liberale non è lo stesso che competere con una destra comunitaria e nazionalista.
 

MULTICULTURALISMO O DIRITTI UNIVERSALI?
Cinzia Sciuto intervista Peter Chneider - Micromega 22/07/2015
 
Nella discussione sulle nostre società che diventano sempre più multiculturali molto spesso la sinistra è colta in imbarazzo: per non essere accusata di razzismo, sposa un ingenuo multiculturalismo che - in nome del rispetto della culture altrui - finisce per accettare pratiche decisamente reazionarie, patriarcali, conservatrici che nulla hanno a che fare con l'emancipazione degli individui, unico faro che la sinistra dovrebbe avere. Di tutto questo ho parlato con Peter Schneider in una conversazione dalla quale è stato tratto questo testo, uscito sul numero 4/2015 di MicroMega.
 

MA L'IMMIGRAZIONE NON È UN'EMERGENZA
Chiara Saraceno - La repubblica 19/07/2015
 
C'È sicuramente razzismo nelle proteste degli abitanti dei quartieri di Treviso e Roma che si sono visti arrivare tra le proprie case, da un giorno all'altro, decine di immigrati, spesso alloggiati in condizioni di degrado (a Treviso mancava persino l'acqua e l'elettricità). Ma ci sono anche i mestatori politici che non aspettano altro per soffiare sul fuoco dell'insofferenza e della paura. Ed è inaccettabile che si impedisca persino, come è avvenuto a Treviso, la distribuzione del cibo a chi è arrivato senza nulla. Ma c'è soprattutto la reazione di chi sente le condizioni della propria vita quotidiana minacciate da un terremoto sociale improvviso, da decisioni di cui si sente ed è vittima, senza essere stato consultato e tanto meno preparato.
 

CHE COSA CI INSEGNA L'IMBECILLITÀ DI MASSA
Maurizio Ferraris - La Repubblica 16/07/2015
 
Elogio semiserio dei nostri difetti ai tempi della società digitale e della fine dei sogni collettivi.
Per più di un motivo, quello della imbecillità di massa si presenta come un vasto problema. Anzitutto perché si presta più di ogni altro tema alla ritorsione del tu quoque trascendentale: chi sei tu, quale intelligenza puoi vantare, quale autorità puoi invocare per dare dell'imbecille non solo a me, ma addirittura a delle moltitudini? Quale patente di intelligenza ti autorizza a sollevarti al di sopra del mondo? Se c'è un momento in cui una persona intelligente appare irrimediabilmente stupida è quando pretende di sollevarsi sulla massa, per esempio quando Heidegger sostiene che «chi pensa in grande può anche errare in grande», o quando Valéry apre M. Teste con un madornale «La stupidità non è il mio forte». Da questo punto di vista, l'imbecillità di élite (quella che per esempio si manifesta nei "centri di eccellenza" che sono fioriti in una università devastata qualche anno fa) sembra ancora più acuta dell'imbecillità di massa. Quest'ultima, però, ha dalla sua il peso della quantità, e, come diceva Hegel (altro filosofo in cui si può trovare una quantità di affermazioni stupide), il quantitativo trapassa necessariamente nel qualitativo.
 

QUEI NUOVI POVERI CON LO STIPENDIO
Chiara Saraceno - La Repubblica 16/07/2015
 
NEL 2014 , dopo tre anni di aumenti costanti, la diffusione della povertà si è fermata. Le buone notizie finiscono qui e mi sembra difficile considerarle, come è stato detto, "non negative". Non c'è stato, infatti, nessun miglioramento nella percentuale di famiglie e individui che vivono in povertà relativa e nemmeno di quelli che vivono nella più grave povertà assoluta, rispettivamente un milione e 470mila famiglie e 4 milioni e 102mila individui.
Non solo, la povertà assoluta continua a rimanere particolarmente elevata tra i minori, il 10 per cento, pari a più di un milione di minori e i giovani tra i 18 e i 34 anni, l'8 per cento, pari a 857mila.
 
 

IN FAMIGLIA ARRIVA LA RIVOLUZIONE DEL PAPÀ: "LAVORO MENO E GIOCO CON I FIGLI"
Maria Novella de Luca - La Repubblica Scienze 06/07/2015
 
Tenerezza, complicità e risate sono le parole d’ordine per condividere uno spazio senza obblighi con i propri figli. Dallo sport al luna park, dalle cene insieme alle sfide alla playstation ecco perché oggi il fattore “P” (come “papà”) viene considerato decisivo per lo sviluppo del bambino
 
 

MEDJUGORIE, LA FABBRICA DELLE SANTE ILLUSIONI
Giancarlo Bocchi - Il Manifesto 27/06/2015
 
Alla fine della guerra, nel dicembre del 1995, la Bosnia era distrutta, senza più attività produttive, con strade e infrastrutture in rovina e gran parte della popolazione senza lavoro. Una sola attività aveva ripreso utili a ritmi vertiginosi. la “fabbrica di miracoli e apparizioni” della Madonna di Medjugorje, che divenne in breve tempo una specie di miniera d’oro. Lunghe file di pullman provenienti da tutta Europa intasavano le strade malandate della Croazia e della Bosnia. Frotte di fedeli accorrevano nel paesetto dell’Erzegovina davanti a una chiesa color tortora, stretta tra due aguzzi campanili che se nelle intenzioni avevano voluto sfidare la levità dei minareti, riuscivano solo a ricordare il disegno di un bambino. Dopo il sanguinoso conflitto che aveva provocato 100 mila morti, fatto tremare i governi europei e aperto una ferita planetaria e non più rimarginabile tra i credenti di diverse religioni, migliaia di cattolici, soprattutto stranieri, si accalcavano a Medjugorje per incontrare i veggenti e invocare l’apparizione della Gospa (la Madonna) che proprio in quei luoghi dilaniati dal feroce nazionalismo croato cattolico era incredibilmente chiamata “la Regina della pace” e si manifestava, secondo i veggenti, a orari fissi.
 

LO STRANIERO INTERIORE CHE PREME ALLE FRONTIERE
Massimo Recalcati - La Repubblica 23/06/2015
 
LA DIFESA del confine o il suo allargamento ha armato da sempre la mano degli uomini. L’origine della violenza trova nel confine l’oggetto della sua passione più fondamentale: la distruzione del nemico-rivale muove Caino nel suo sogno narcisistico di essere l’unico, di far coincidere il proprio confine con il confine del mondo. È il delirio di tutti i grandi dittatori. Innumerevoli volte, nel corso della storia, il confine è diventato una questione di vita e di morte. Eppure l’esistenza del confine è necessaria alla vita. Alla vita di una città o di una nazione, ma anche alla vita individuale. Abbiamo bisogno di confini per esistere. È un problema di identità. Si può esistere senza avere un senso di identità? Senza radici e senza sentimento di appartenenza? La psicoanalisi insegna che la vita psichica necessita di avere i propri confini. Questa necessità non è in sé patologica, né delirante, ma concerne un polo fondamentale del processo di umanizzazione della vita. Ecco perché la famiglia (al di là di ogni sua versione tradizionale — naturalistica) resta una istituzione culturale essenziale alla vita umana. In essa si esprime il bisogno di radici, di casa, di discendenza, di appartenenza, di riconoscimento che definisce la vita in quanto vita umana. Non bisogna sottovalutare l’incidenza di questa forte dimensione simbolica dell’identità.
NEI MOMENTI di crisi tendiamo ad accentuare il polo dell’appartenenza per ritrovare in esso un rifugio contro l’angoscia e lo smarrimento. Per questa ragione le grandi svolte reazionarie sono storicamente sempre state precedute da profonde destabilizzazioni dell’ordine sociale. Il bisogno di conservazione è strettamente connesso alla vertigine provocata dalla caduta del confine identitario. Senza confini la vita perde se stessa, si polverizza, si frammenta. È quello che insegna drammaticamente la psicosi schizofrenica: senza senso di identità la vita si disgrega, non ha più un centro, non sa più differenziarsi, non sa più riconoscersi nella sua differenza. Per scongiurare questo rischio, come la psicologia delle masse insegna, si può invocare un rafforzamento del confine, una sua impermeabilizzazione estrema. Il “protezionismo” economico diventa in questo caso sintomatico: si tratta di proteggere l’identità di una città o di una nazione minacciata nella sua integrità e nella sua storia; si tratta di difendere il prodotto “interno” dall’invasione di quello che viene dall’”esterno”; si tratta di ristabilire i confini, di preservare la propria identità dal rischio della sua alterazione provocata dalla concorrenza invasiva dell’Altro. È questa una spinta sempre presente nella vita psichica che, come Freud ha indicato, manifesta una resistenza strutturale al cambiamento: di fronte al pericolo dell’alterazione dell’identità l’apparato psichico reagisce, infatti, rafforzando la sua tendenza omeostatica: ridurre le tensioni al più basso livello possibile, evacuare, scaricare l’eccitazione ingovernabile.
E tuttavia esiste un altro polo – altrettanto essenziale allo sviluppo della vita psichica come a quello di una città o di una nazione – che è quello dell’apertura, della necessità di oltrepassare il confine. Se, infatti, la vita non sa scavalcare il regime ristretto della propria identità, se non sa muoversi dal proprio bisogno di appartenenza verso una contaminazione con l’alterità dell’Altro, fatalmente stagna, appassisce, non può che ripetere sterilmente se stessa. In questo senso la famiglia è tanto essenziale alla vita quanto lo è il suo declino. Per questo Lacan affermava che il compito più difficile che attende il soggetto nel suo processo di umanizzazione è quello di fare “il lutto del padre”. La vita, come insegna del resto anche Spinoza, può conservarsi solo espandendosi, oltrepassando il confine che gli è stato necessario alla sua istituzione. Quando la vita di un gruppo, di una città , di una nazione, di un soggetto si ammala? Cosa davvero fa declinare la vita, cosa la rende patologica? La psicoanalisi propone una risposta sconcertante: la vita che si ammala è quella che resta troppo attaccata a se stessa, che resta vittima della tendenza omeostatica alla propria conservazione, è la vita che ingessa, cementifica, rafforza unilateralmente il proprio confine narcisistico. Se il confine serve a rendere la vita propria, questo confine, per non diventare soffocante, deve, come si esprimeva Bion, divenire “poroso”, permebabile, luogo di transito. Se invece il confine assume la forma della barriera, della dogana inflessibile, se diviene presidio, luogo impossibile da valicare atrofizza e non espande la vita. Venendo meno l’ossigeno indispensabile dell’alterità, la vita si ammala e declina. La necessità del confine va quindi unita con la necessità del movimento e del transito al di là del confine. In questo senso la difesa della purezza identitaria è sempre animata da un fantasma fobico che non lascia spazio allo straniero. Ma a quale straniero? Il nero, l’ebreo, l’extracomunitario? Un altro insegnamento prezioso viene dalla psicoanalisi: lo straniero prima di venire da fuori, abita in noi stessi. Ciascuno di noi porta con sé il proprio “nemico”; ciascuno di noi è Caino, ciascuno di noi è straniero a se stesso. Per questo Freud suggeriva di definire l’inconscio come un “territorio stranierointerno”. Dove l’ambiguità di quella espressione (“straniero interno”) dovrebbe essere sufficiente per scalfire l’irrigidimento paranoico-immunologico del confine identitario. Non si tratta di esaltare un nomadismo senza radici che cancellerebbe le differenze particolari, di negare ingenuamente la necessità del confine, ma di integrare innanzitutto lo straniero-interno rendendo i nostri confini più plastici. Avevano ragione Deleuze e Guattari in
Mille piani ad ammonirci: attenzione al «fascista che siamo noi stessi, che nutriamo e coltiviamo, a cui ci affezioniamo»; attenzione alla spinta cieca alla conservazione di noi stessi che si nasconde nel proclamare una democrazia finalmente realizzata che anziché rendere porosi i suoi confini li sa solo armare.

PERCHÉ LA SOCIETÀ POSTUMANA METTE A RISCHIO LE NOSTRE LIBERTÀ
Stefano Rodotà - La Repubblica 06/06/2015
 
SIAMO già prigionieri di un futuro del quale, come ha scritto l'-Economist, dobbiamo "preoccuparci con saggezza". Ma essere saggi è difficile quando ci viene promessa l'immortalità o viene minacciata la subordinazione dell'intero genere umano a macchine superintelligenti. Previsioni lontane, a giudizio di molti irrealizzabili, che tuttavia obbligano a contemplare un orizzonte nel quale il postumano, parola che descrive una nuova condizione, trova manifestazioni assai più vicine, che invadono il nostro presente e ci consegnano alle dinamiche della tecnoscienza. Fino a che punto, però, l'affidarsi fiducioso alla tecnoscienza può diventare delega? E la delega può degenerare in deresponsabilizzazione? Proviamo a interrogare i fatti. Dalla Cina arriva la notizia di una fabbrica interamente affidata ai robot, avanguardia di una trasformazione radicale dove la parola "lavoro" rischia di scomparire insieme alla realtà che ha
sempre designato.
 

SE UNA DONNA SU TRE È VITTIMA DI VIOLENZA
Chiara Saraceno - La Repubblica 06/06/2015
 
OLTRE quattro milioni di donne — l'11,3% del totale — hanno subito violenza fisica e/o sessuale negli ultimi cinque anni. Il 31,5% (quasi una donna su tre) ha subito violenza nel corso della vita. È la stima che emerge dall'ultima indagine sulla violenza contro le donne effettuata dall'Istat. Sono cifre che si aggiungono a quelle sui femminicidi. Mostrano come esercitare violenza sulle donne sia un fenomeno diffuso, di cui i femminicidi sono la punta drammatica dell'iceberg. Oltre un terzo di chi ha subito violenza fisica o sessuale nel corso della vita è stata vittima di un fidanzato, marito, compagno, attuale o, soprattutto, passato.
Mettere fine ad un rapporto che non funziona e magari è violento non sempre protegge le donne dalla rabbia di chi non riconosce loro questo diritto, come troppo spesso documenta anche la cronaca nera. Partner ed ex partner sono presenti in maggiore misura nella violenza che non lascia tracce sul corpo, ma incide sulla consapevolezza della propria dignità e valore, minando il senso di sicurezza e mantenendo chi ne è oggetto in uno stato di tensione permanente: la violenza psicologica fatta di insulti, sistematiche
squalificazioni, limitazioni dell'autonomia.
 

COPPIE SOLIDE EPPURE VULNERABILI COSÌ LA LEGGE IGNORA LA METAMORFOSI
Chiara Saraceno - La Repubblica 02/06/2015
 
ERA già avvenuto nei Paesi nordici ed anche in Francia e Germania, dove da diversi decenni ormai il matrimonio aveva perso il ruolo di rito di passaggio, per diventare piuttosto rito di conferma. Non si va a vivere insieme come coppia solo dopo che ci si è sposati. Piuttosto ci si sposa dopo aver sperimentato qualche anno di vita insieme e sempre più spesso anche dopo aver avuto uno o più figli. In alcuni Paesi del Centro-Nord Europa la maggioranza dei primogeniti nasce all'interno di una coppia di fatto, convivente ma non sposata. In Italia il fenomeno è più recente ed ancora minoritario, ma ha conosciuto una accelerazione fortissima nell'ultimo decennio, contraddicendo le ipotesi degli studiosi che ancora pochi anni fa ritenevano che si sarebbe diffuso molto lentamente. Soprattutto nel Centro-Nord, ha raggiunto proporzioni consistenti, spesso con la benedizione, o comunque l'accettazione della generazione più vecchia.
 
 

FUGA DAL MATRIMONIO
Maria Novella De Luca - La Repubblica 02/06/2015
 
 Si amano, i Millennials. Convivono. Procreano. Ma non si sposano. Risultato: meno di duecentomila nozze l’anno, mai state così poche. E un figlio su quattro nasce senza legami formali tra i genitori. Fenomenologia di un rito che non sembra più indispensabile
LA FESTA è finita. Fiori d’arancio, fedi, cerimonie, viaggi di nozze, pranzi di parenti e liste di regali: storie di ieri, riti appassiti. I giovani non si sposano più. Né al Nord e neppure al Sud. Amore sì, ma niente contratti, l’Italia ha ormai toccato il minimo storico dei matrimoni civili e religiosi, un crollo vertiginoso, nel 2013 i “sì” sono stati 194.057 mila (ultimo dato Istat). Erano 50mila in più 10 anni fa. Record negativo storico.
 

LA DISUGUAGLIANZA DIVIDE IL MONDO
Armando Massarenti - Il Sole 24 ore 30/05/2015
 
È con un forte richiamo alle responsabilità della politica, e non dell'economia, che si è chiuso ieri il discorso del premio Nobel per l'economia Joseph Stiglitz su «La grande frattura. Nuove prospettive sulla disuguaglianza e su come ridurla» al festival dell'Economia di Trento, quest'anno dedicato alla mobilità sociale. Perché se è vero che, come sostiene Stiglitz, le disuguaglianze sociali e la sempre più scarsa mobilità sociale sono frutto dei meccanismi economici di mercato, è solo grazie a mirate e lungimiranti scelte politiche che si può provare a porvi rimedio. «I cambiamenti graduali non sono sufficienti. È urgente prendere decisioni oggi per prevenire le diseguaglianze dei decenni a venire». Per l'economista americano «una delle questioni principali sono le riforme dell'Eurozona e le politiche di austerità che non hanno mai funzionato e anzi hanno soffocato la ripresa ancora di più. L'austerità sta uccidendo l'Europa e la crescita futura.
 

I RISCHI DI CHI DECIDE SENZA DELIBERARE
Nadia Urbinati - La Repubblica 22/05/2015
 
LA CRISI economica ha cambiato il carattere e lo stile delle democrazie europee. Ha messo in discussione il rapporto tra deliberare e decidere facendo pendere il piatto della bilancia dalla parte degli esecutivi, come ha ricordato Marc Lazar su questo giornale. L'amichevole inimicizia tra deliberazione e decisione è proverbiale nella democrazia, che i detrattori hanno per secoli identificato con la perdita di tempo in chiacchiere, il troppo deliberare e poco decidere. Queste sono le opinioni ingenerose e non provate dei suoi detrattori. La decisione nelle democrazie è un momento finale, mai ultimo, di un processo deliberativo al quale partecipa, direttamente e indirettamente, un numero ampio di soggetti, singoli e collettivi. Nei governi rappresentativi la deliberazione è un gioco complesso che si avvale sia della selezione dei rappresentanti sia di un rapporto permanente del Parlamento con la molteplicità delle opinioni che animano la società. Se le elezioni concludono temporaneamente il flusso deliberativo, la discussione non è tuttavia mai interrotta né lo sono la riflessione ragionata del pubblico e l'influenza che i cittadini cercano di esercitare sulle istituzioni. La deliberazione non ostacola o ritarda la decisione, quindi, ma la incalza, la prepara e la cambia.
 

CRISI: SE È LA DONNA A TIRARE LA CARRETTA
Chiara Saraceno - La Repubblica 21/05/2015

La scarsità della domanda e la fragilità delle posizioni ha spinto molte donne ad affrontare il perso del doppio lavoro, ma se il gap di genere si chiude prevalentemente al ribasso, qualcosa sta cambiando.
LE DONNE italiane hanno mantenuto i bassi livelli occupazionali precedenti la crisi, a differenza degli uomini che invece hanno perso centinaia di migliaia di posti di lavoro e sono lontani dal recuperarli nonostante la piccolissima ripresa di questi mesi.


LA BEATIFICAZIONE DI ROMERO E IL LUNGO SILENZIO DEL VATICANO
Vito Mancuso - La Repubblica 21/05/2015

SABATO Oscar Romero, assassinato a San Salvador il 24 marzo 1980, viene beatificato e dichiarato ufficialmente martire della Chiesa cattolica. La domanda che sorge spontanea è come mai siano dovuti passare 35 anni perché il Vaticano giungesse a tale elementare riconoscimento, compiuto all'istante dalla coscienza popolare e dalla spiritualità mondiale. Qualcuno potrebbe pensare che la gerarchia cattolica ami procedere con i piedi di piombo, ma sbaglierebbe: per la beatificazione di Escrivá de Balaguer, il fondatore dell'Opus Dei, ci vollero solo 17 anni, per Karol Wojtyla sei. Quindi quando vuole il Vaticano sa accelerare: perché non l'ha fatto per Romero, ucciso mentre celebrava la Messa da un sicario dei cosiddetti "squadroni della morte" a causa del suo impegno per la giustizia?
 

SACRA SINDONE L'ULTIMA INCHIESTA SUL VOLTO DI DIO
Adriano Prosperi - La Repubblica 20/05/2015

MENTRE scriviamo, è in atto l'ostensione della Sindone a Torino: si è aperta il 19 aprile e chiuderà i battenti il 24 giugno, onomastico di San Giovanni Bosco. Si attende la visita di papa Francesco. Nella sua omelia del 4 maggio, l'arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia ha parlato della sua commozione nel celebrare la Messa davanti "al sacro Telo". All'appuntamento ci si può preparare anche leggendo i più recenti libri di storia dedicati alla Sindone. Per esempio, lo svelto e accattivante saggio di Franco Cardini e Marina Montesano che promette di parlare di una Sindone di Torino oltre il pregiudizio ( Medusa).
 
 

IL LIBRO ELETTRONICO
L’Amaca di Michele Serra (Repubblica 16.5.15

“”Viva l’innovazione, il libro elettronico, il print on demand (si stampano solo le copie acquistate e si evitano le valanghe di resi), il fecondo rapporto tra nuove tecnologie e cultura. Ma mette un brivido sentire (intervistato su Radiorai) non so quale boss di Amazon sentenziare che in un futuro prossimo «a decidere quali libri stampare e quali no saranno le community dei lettori, non gli editori». In apparenza è un allargamento “democratico” delle decisioni, un colpo all’elitarismo intellettuale. In sostanza, è il definitivo asservimento della cultura ai gusti di (presunte) maggioranze, e fa venire in mente l’aforisma di Marcello Marchesi sulla società di massa: «mangiate merda, miliardi di mosche non possono avere torto».
La dittatura del mercato incarna il sogno del signor Amazon ma anche l’incubo delle minoranze, dei curiosi, degli irrequieti, o più semplicemente dei veri innovatori (che faranno le fortune future anche di Amazon). Il rischio intellettuale non è vidimabile da una serie di “mi piace”. L’attuale, imperfettissimo sistema editoriale va da scemenzuole di successo come le Sfumature di grigio a splendidi e sparuti libri di poesia, con tutta la gamma intermedia. Mi chiedo quale “community” sarebbe in grado di scegliere, e di sbagliare, con tanta libertà e con tanta varietà. Il conformismo è la via più rapida, feroce ed efficace per distruggere pensiero e poesia. Per saperlo bisognerebbe — per esempio — leggere Álvaro Mutis. Ma la “community” di riferimento del signor Amazon terrebbe in catalogo Álvaro Mutis?”"

SUL REDDITO MINIMO NON C'E' DA IMPROVVISARE
Chiara Saraceno La Repubblica 15/05./2015

“”Il reddito di cittadinanza nel senso che tutti i cittadini da Agnelli in giù hanno un reddito è una follia. L’idea di una misura contro la povertà è una cosa su cui stiamo lavorando e siamo disponibili a parlare con i 5Stelle e con gli altri, ovviamente compatibilmente con i vincoli di bilancio». Così ha dichiarato Renzi nella conversazione con Repubblica . Ma ciò che propongono i Cinquestelle è esattamente questo, una misura contro la povertà. Sbagliano a chiamarla reddito di cittadinanza, perché questo termine evoca altre proposte che circolano a livello internazionale e sono sostenute da studiosi di tutto rispetto, come Atkinson e Van Parijs, e da un network internazionale, che auspicano, appunto, un reddito di base per tutti. Ma la proposta dei Cinquestelle si riferisce a chi si trova in povertà, come quelle della Alleanza contro la povertà con il Reis (Reddito di inclusione sociale), della commissione Guerra con il Sia (Sostegno di inclusione attiva), di una proposta di legge di iniziativa popolare avanzata dal Bin (Basic Income Network) Italia, e prima ancora del lontano reddito minimo di inserimento sperimentato alla fine degli anni Novanta.

Non mancano, infatti, le proposte e neppure le sperimentazioni, anche se Maroni, che oggi a sorpresa annuncia di voler sperimentare il “reddito di cittadinanza” in Lombardia sembra aver dimenticato di aver affossato il reddito minimo di inserimento appena diventato ministro del welfare, chiudendo la sperimentazione e dichiarandola fallita, senza spiegazioni né discussioni.

Al di là dei nomi, ciò di cui si parla, e che esiste già nella stragrande maggioranza dei Paesi dell’Unione Europea, in molti Paesi Ocse e in diversi Paesi dell’America Latina, è una misura universalistica, non categoriale (cioè non limitata a una o un’altra categoria di poveri) di sostegno al reddito per chi si trova in povertà, solitamente accompagnata dalla richiesta di disponibilità ad accettare richieste di lavoro per chi ne ha la capacità, o a partecipare a corsi di formazione per chi ne ha necessità, di fare in modo che i figli (per chi ne ha) frequentino regolarmente la scuola e abbiano le cure mediche necessarie e così via. Il termine “di cittadinanza” (anche se io non lo userei proprio perché si presta ad equivoci) si riferisce al diritto di ricevere sostegno se si è in condizione di bisogno (così come si ha diritto di ricevere una istruzione di base, o cure mediche quando si è malati), a prescindere dalla appartenenza ad una o un’altra categoria.

Si può discutere dell’importo base di questa misura, di come debbano essere definiti i diritti e i doveri di chi la riceve e dei doveri di chi deve fare funzionare le attività integrative e di accompagnamento (dalla scuola ai servizi per l’impiego), su come e con quale periodicità si devono effettuare i controlli. E si deve, ovviamente, ragionare su come finanziarla (senza tut- tavia metterla sempre in coda rispetto ad altre priorità non adeguatamente discusse). Ma, ripeto, si tratta di misure che già esistono in altri Paesi (incluso il Portogallo, molto più povero dell’Italia) da diversi decenni. Sono state sperimentate anche in Italia e alcuni comuni hanno da tempo qualche cosa di simile. La provincia di Trento ha messo a regime il proprio reddito minimo da oltre due anni. Sono esperienze da cui si può imparare senza iniziare ennesime sperimentazioni che servono solo per rimandare la questione creando ulteriori disparità tra chi è coinvolto nella sperimentazione e chi no: una disparità che può essere accettabile una volta, ma che non può essere sistematicamente ripetuta, senza che si vada mai a regime.

Nei dibattiti di questi giorni, incluso “Ballarò” e “Di martedì” scorsi, si sono sentiti pareri, commenti, fondati su una intollerabile ignoranza da parte anche di illustri commentatori e commentatrici. Peraltro, nessuno sembra abbia pensato di sentire, oltre ai Cinquestelle, chi di queste cose si occupa da anni e ha fatto proposte argomentate (ad esempio l’Alleanza contro la povertà). Il dibattito sembra limitato a politici (inclusi quelli del Pd) e giornalisti apparentemente scelti tra chi ne sa meno ed ha meno memoria storica. Con il risultato di aumentare la confusione, delegittimando in partenza ogni proposta, lasciando aperto il campo ad ennesime sperimentazioni più o meno idiosincrasiche, o all’invenzione di qualche ennesima misura categoriale con cui vengono disperse risorse già scarse.”"

TERRA VIVA: IL MANIFESTO CHE ROPMPE IL RECINTO
Guido Viale Il Manifesto 12/05/2015)

“”Il significato autentico di un documento che esprime il contrario del mondo e dell’ideologia che l’Expo milanese vuole celebrare. Il manifesto, 12 maggio 2015

Cronaca e commenti sull’inaugurazione di Expò e gli scontri del 1° maggio hanno offuscato non solo la partecipazione di massa al Mayday, ma anche il lato grottesco di una manifestazione svoltasi il 2 maggio, alla presenza di Maurizio Martina, ministro dell’Expò e, in subordine, dell’agricoltura, alla cascina Triulza (il green washing dell’Expò) con la presentazione di Terra Viva: un manifesto messo a punto dall’associazione Navdanya di Vandana Shiva, cui hanno collaborato, tra gli altri, anche Andrea Baranes e Piero Bevilacqua.

Perché grottesco? Quel manifesto è la negazione plateale di tutto quanto l’Expò rappresenta: “far nutrire” il pianeta dalle multinazionali dell’agrobusiness, degli OGM, della chimica, del petrolio, dell’industria alimentare e della Grande Distribuzione; ma anche spreco di suolo, profusione di asfalto e cemento, stravolgimento dell’assetto urbano, degrado del lavoro, economia del debito, corruzione e, soprattutto, una concezione dello “sviluppo” che ha da tempo portato il suo focus sull’economia dello spettacolo e della promessa: in questo caso con una infilata senza fine di ristoranti etnici, accompagnata da edifici costosi e caduchi e da una coreografia in gran parte virtuale. Espediente a cui è stato affidato il compito di far uscire l’Italia dalla crisi, di rilanciare la crescita, di restituire spirito di cittadinanza e di appartenenza a una comunità fondata su sfruttamento e speculazione. Terra Viva si sviluppa lungo tutt’altri temi:
- invece di un’economia “lineare”, fondata sull’estrazione di sempre nuove risorse da trasformare in rifiuti, un’economia “circolare”, fondata sulla Legge del Ritorno: la restituzione a società e ambiente (che sono un tutt’uno) di ciò che vi è stato prelevato: “La civiltà industriale ci ha distolti dal considerare un valore la nostra relazione con il suolo, in virtù della convinzione arrogante che più siamo in grado di sottomettere la natura, maggiore è il nostro sviluppo”;

– invece di un’agrobusiness estensivo e monocolturale fondato su petrolio e chimica, un’agricoltura basata su aziende piccole, biologiche, di prossimità, multicolturali e multifunzionali: “Il secolo scorso è stato dominato da un modello uscito dall’industria bellica e incentrato sull’uso di sostanze chimiche e sui combustibili fossili. Tale modello ha distrutto il suolo, sradicato gli agricoltori, generato malattie, creato rifiuti e sprechi a tutti i livelli, compreso quello del 30% del cibo”;

– invece del potere delle multinazionali, una democrazia partecipata, e inclusiva: “La partecipazione delle persone alle decisioni esige un decentramento del potere e del processo che lo produce, insieme al rafforzamento dei diritti comunitari”;

– invece di mercificazione di tutto l’esistente, cooperazione e condivisione: “assicurare che tutti gli esseri umani siano in grado di partecipare a questa economia vivente come creatori, produttori e beneficiari”;

– invece dei grandi impianti centralizzati, il decentramento produttivo e la riterritorializzazione dei mercati: “Una Nuova Economia basata sul suolo è necessariamente locale. Essa promuove la produzione locale e riduce i trasporti”;

– invece delle megalopoli, città sostenibili: “L’inclusione della città nell’economia circolare dipenderà dalla sua capacità di autoproduzione delle risorse, quelle culturali – dalle competenze pratiche a quelle linguistiche, dalle risorse morfologiche alla tutela e alla produzione dei saperi e così via – e quelle energetiche, agricole, demografiche etc.”;

– invece della corruzione sempre più compenetrata all’economia “legale”, una legalità legittimata da consenso e coinvolgimento; invece della privatizzazione, i beni comuni: “I contrasti maggiori del nostro tempo – sul piano intellettuale, materiale, ecologico, economico, politico – riguardano la mercificazione e la privatizzazione di risorse di tutti, l’appropriazione privata dei beni comuni. Una risorsa è un bene comune quando esistono sistemi sociali che la utilizzano in base a principi di giustizia e sostenibilità”;

– invece dell’incombente catastrofe climatica, il riassorbimento dei gas di serra: “I suoli rappresentano il più grande bacino per l’assorbimento del carbonio e contribuiscono a mitigare il cambiamento climatico”;

– invece di una concezione del suolo come mero supporto di ogni speculazione, una concezione dell’unità tra umanità e ambiente, tra cultura e natura, sintetizzata dalla simbologia della Madre Terra: “Questa nuova democrazia va al di là dell’antropocentrismo. È una democrazia della vita intera. La nostra esistenza dipende dalla rete della vita, e i nostri diritti e le nostre libertà scaturiscono dai diritti e dalle libertà della Terra e delle specie non umane”.
Che cosa hanno in comune, allora, due approcci all’agricoltura, all’economia, alla società e alla vita così diametralmente opposti? L’essere promossi come le due facce dello stesso business: uno in pompa magna, con grande dispendio di mezzi; l’altro come legittimazione “sociale” del primo, lasciandolo il più possibile nell’ombra. E che cosa resterà dell’uno e dell’altro, una volta chiusi i cancelli dell’Expò? Da un lato un deserto di cemento pieno di edifici insensati da demolire; il bisogno di fare altri debiti per trovargli una nuova destinazione; il degrado irreversibile del lavoro consolidato nel Jobs act; tante autostrade vuote costruite su montagne di rifiuti tossici e una città trasformata ancora di più in un in circo. Dall’altro, convegni e incontri usati per dare un fugace senso di protagonismo proprio alle persone e alle idee contro cui viene giocata la grande partita dell’Expò. Quella manifestazione grottesca con il ministro Martina ci insegna che le parole, da sole, non contano niente: ciascuno può usarle tutte e il loro contrario per portare avanti il proprio business. Renzi è maestro in questo campo.

Ma Terra Viva è il nostro manifesto, quello in cui possono riconoscersi tutti coloro che nel XXI secolo si battono in modo radicale per “abolire lo stato di cose presente”. Non è il programma di una società rurale che reclama un suo posto nell’economia globalizzata, ma il progetto di una radicale conversione ecologica di un intero assetto produttivo e sociale e, prima ancora, una cultura radicalmente “altra”. Ora deve trovare forza e gambe per uscire da quel (costoso) recinto dell’Expò dei popoli, per riprendersi strade, piazze, campi, fabbriche e uffici. Ma può contare solo su pratiche, sia quotidiane che straordinarie, capaci di costituire una alternativa reale sia al discorso mainstream veicolato dall’Expò, sia alla sua traduzione in cemento, asfalto, debito, tangenti, sfruttamento e nell’“economia della promessa”.

Questo significa continuare a sviluppare quelle alternative sia attuali che di prospettiva su cui hanno lavorato per anni i comitati e la rete No-expò e su cui si sono incontrate e riconosciute le tante realtà diverse che hanno preso parte al corteo del 1°maggio. Occorre prendere atto, e far prendere atto, del fatto che contro quella miseria infinita di cui l’Expò è il simbolo più vistoso ed esaustivo si può aggregare una pluralità di iniziative e di forze ancora assai eterogenee: uno schieramento potenzialmente maggioritario, in barba a quei sondaggi, che, come tutti i media di regime, ci raccontano di una popolazione planetaria che non desidera altro che immedesimarsi con quella simbologia fasulla. E’ uno schieramento che ha ancora bisogno di molte articolazioni e mediazioni, ma che ha dimostrato, nonostante la torsione che i guastatori del “blocco nero” hanno cercato di imprimergli, di avere un propria identità e di poter marciare sulle proprie gambe. Ora è la volta di iniziative capaci superare pregiudiziali e false identità, per portare in piena luce la solidità di una cultura politica radicalmente alternativa, come quella sintetizzata dal manifesto Terra Viva, che davvero ci può riaggregare tutti.”"

"CON LA SCUSA DEL TERRORISMO CI TOLGONO I DIRITTI"
STEFANO RODOTÀ DENUNCIA LA DERIVA EUROPEA
Intervista di Antonio Rossano a Stefano Rodotà - L'Espresso 14/05/2015
 
Francia e Spagna hanno appena approvato due leggi che limitano la libertà di espressione e autorizzano la vigilanza di massa, mentre il caso Nsa continua a scatenare polemiche. Parla il giurista e già garante della privacy. Che punta il dito contro la politica
 

LA PAROLA SINISTRA E LA BUSSOLA DEI DIRITTI
Nadia Urbinati - La Repubblica 31/03/2015
 
LIBERARE la Sinistra dal linguaggio singolare, scioglierla dal vincolo del consenso unanime e dal verticalismo è stato un lavoro difficile e nei fatti mai compiuto, realizzato parzialmente grazie prima di tutto al successo e alla tenuta della democrazia elettorale. Perché più gli elettori si sono sentiti liberi di andarsene e cambiare partito, più la Sinistra che parlava al singolare si è indebolita.
«Non lascio ad altri il monopolio della parola sinistra», dice adesso il segretario del Partito democratico. Ma governare il pluralismo non è per nulla facile. La difficoltà sta nel riuscire a tenere insieme la lealtà ad alcuni valori e principi di giustizia e l'interpretazione sui modi e la strategia della loro realizzazione. Come ci ha spiegato Thomas Piketty in un articolo su Repubblica, le politiche neoliberali che hanno in questi anni ammagliato i partiti di Sinistra dell'establishment mettono in seria discussione la possibilità di tenere viva un'unità di discorso in forza, non di fedi a una dottrina o una leadership, ma della ragionata condivisione e della competente realizzazione di politiche ispirate ai valori e ai principi che sono tradizionalmente della Sinistra e che, non per caso, sono anche quelli che meglio realizzano le promesse della democrazia.
  

PERCHÉ DIO È TORNATO SULLA SCENA
Roberto Esposito - La Repubblica 30/03/2015

DOPO una lunga parentesi di relativa autonomia, politica e religione tornano ad incrociare le proprie traiettorie con effetti inquietanti, di cui le tragiche vicende di Parigi e Tunisi costituiscono gli ultimi episodi. La condanna più intransigente degli attentatori e la rivendicazione della libertà di espressione in tutte le sue forme è la sola risposta adeguata. Ma ciò è ben lontano dall'esaurire una questione più di fondo, che riguarda il nodo che da qualche tempo si va stringendo tra teologia e politica. La tradizionale tesi della progressiva fine delle religioni nel mondo moderno, portata avanti dai sociologi della secolarizzazione, si scontra con dati di fatto sempre più evidenti. Come già aveva argomentato a suo tempo Gilles Kepel in La rivincita di Dio ( Rizzoli), l'identificazione tra modernità e laicizzazione è tutt'altro che scontata.
 

"LE UTOPIE SENZA STORIA DIVENTANO DITTATURE"
Marco Ansaldo - La Repubblica 25/03/2015
 
ORHAN Pamuk, a che cosa pensa se le dico la parola "utopia"? «Alla letteratura. Alla filosofia. A Tommaso Moro con la sua "città perfetta". E a Karl Marx, anche se io non sono un politico, ma un artista dotato di immaginazione. Così, anche se ho avuto problemi di tipo politico, oggi sono una persona felice. E, all'utopia, preferisco la memoria ». Pamuk lo ripete ancora, piantato sul suo tavolo da lavoro colmo di fogli scritti a mano, nella casa di Istanbul guardata dai due minareti della moschea di fronte.
«Sì, sono felice, sto scrivendo un nuovo libro, e sto viaggiando molto». Oggi lo scrittore turco premio Nobel, inaugura la terza edizione degli Eventi letterari che ad Ascona, in Svizzera, si concentreranno al Monte Verità, luogo visionario, sul binomio "Utopia e Memoria". Un tema che seduce Pamuk e lo stimola. Il legame fra passato e futuro, i possibili rimandi fra scrittori amati come Tolstoj e Proust, Dostojevskij e Orwell, intrigano l'autore premiato con il Nobel per il saggio Istanbul, autobiografia sui generis divenuta un testo imprescindibile per chi vuole inoltrarsi nei labirinti della metropoli sul Bosforo. Cornice ideale per uno sguardo all'indietro, in una Turchia che oggi cerca di investire sul futuro.
 

L'INSEGNAMENTO DI PLATONE. IL POLITICO SIA SENZA FAMIGLIA
Nadia Urbinati - La Repubblica 25/03/2015
 
IL PIÙ radicale degli utopisti, Platone, decise che la repubblica doveva impedire che la classe politica avesse famiglia e proprietà, le due condizioni che compromettevano la selezione dei guardiani in base al merito richiesto per il governo della città (coraggio e conoscenza) perché inevitabile ragione di parzialità: prima vengono i figli e la famiglia (allargata ai clientes che valgono a renderla più rispettabile) e prima viene la cura dei propri averi (che si somma a quella per la famiglia). L'utopia platonica della società armonica governata da un'avanguardia di virtuosi ha ispirato fanatici della giustizia e tribunali speciali. Ma la sua diagnosi delle ragioni dell'ingiustizia è diventata un monito per chi fa le leggi: i padri tendono a riprodursi nei figli, i possidenti negli eredi. Gaetano Mosca cercò di fare di questa generalizzazione una regola: in ogni società, gli individui lottano per la preminenza e la conservazione dello status che li posiziona in alto, e quindi per il controllo dei mezzi che li agevolano in questo compito. Nelle società politiche basate sulla selezione elettorale, questi mezzi sono quelli che consentono la creazione della reputazione e della fama: circa la reputazione è la costruzione di un cerchio di amici o accoliti che più conta; circa la fama presso gli elettori che dovranno convalidare la selezione è il controllo dei mezzi di propaganda e informazione.
 

RUBARE IL FUTURO LA DURA LEGGE CHE INCATENA LE GENERAZIONI
Gustavo Zagrebelsky - La Repubblica 25/03/2015
 
LE società vecchie sono quelle soffocate dal peso del passato. Le giovani sono quelle che, almeno in parte, se ne affrancano, per guardare liberamente se stesse e deliberare senza pregiudizi. Le età delle società si misurano in "generazioni". Ma, che cosa sono le generazioni, una volta che, dalla cellula in cui sta il rapporto generativo genitori- figli, si passa alla dimensione sociale in cui migliaia o milioni d'individui si succedono sulla scena della vita, gli uni agli altri? Una volta che si voglia sostenere che una generazione giovane sostituisce una generazione vecchia? La questione ha una storia. Thomas Jefferson disse: «La terra appartiene a (alla generazione de) i viventi» («the earth belongs to the living»).
Quel motto stava a significare che, sebbene ogni costituzione porti in sé ed esprima l'esigenza di stabilità e continuità, non si doveva pensare a una fissità assoluta, a costituzioni perenni e immodificabili. Poiché ogni generazione è indipendente da quella che la precede, ognuna può utilizzare come meglio crede, durante il proprio "usufrutto", i beni di questo mondo e, tra questi, le leggi e le costituzioni. Ma, qual è la "scadenza" di una generazione, cioè la sua durata in vita?
  

"IL GENDER CREA ESSERI TRANSUMANI", BUFERA SU BAGNASCO
Paolo Rodari - La Repubblica 24/03/2015
 
CITTÀ DEL VATICANO . La teoria del gender "pone la scure alla radice stessa dell'umano per edificare un ‘transumano' in cui l'uomo appare come un nomade privo di meta e a corto di identità". Così, ieri, il cardinale Angelo Bagnasco, presidente dei vescovi italiani, aprendo i lavori del «parlamentino» della Cei. Il cardinale ha prima fatto sue le parole usate in merito da Francesco a Napoli (la dilagante colonizzazione da parte della cosiddetta teoria del gender è uno "sbaglio della mente umana"), poi ha aggiunto che il gender nascondendosi "dietro a valori veri come parità, equità, autonomia, lotta al bullismo e alla violenza, promozione, non discriminazione" edifica, appunto, un transumano. In sostanza, per la guida dei vescovi italiani, con la teoria del gender è in atto "una manipolazione da laboratorio". E ancora: "Vogliamo questo per i nostri bambini, ragazzi, giovani?". Di qui l'invito a reagire "senza farsi intimidire da nessuno".
 

LA GAIA SCIENZA
Massimiano Bucchi - La Repubblica 23/03/2015
 
UN DIFFUSO stereotipo descrive gli italiani come disinformati, scarsamente interessati e perfino pregiudizialmente ostili alla scienza. È davvero così?
A giudicare dai dati più recenti dell'Osservatorio Scienza Tecnologia e Società (da oltre dieci anni il più ampio e continuativo studio in questo ambito), si direbbe proprio di no. E se forse è eccessivo vedere nel 2014 un anno di svolta nell'interesse degli italiani per la scienza, non c'è dubbio che molti luoghi comuni debbano essere rivisti, soprattutto per quanto riguarda il pubblico giovanile.
 

DALLE STAMINALI ALLE SCOPERTE LA RICERCA CONQUISTA I RAGAZZI
Elena Cattaneo - La Repubblica 23/03/2015
 
«COME si diventa scienziato?» La risposta potrebbe sembrare disarmante: non si smette mai di diventarlo. Continue, le domande su come scegliere per il futuro, tanti i cuori colmi di speranza: «Io vorrei studiare per capire l'Alzheimer, mia mamma ce l'ha da tempo ma mi interessa ancora di più aiutare gli altri». Tanta la fantasia: «Magari posso con un microrobot entrare nelle cellule e aggiustare quel gene impazzito».
Queste sono solo alcune delle voci dei ragazzi dell'Unistem Day 2015 del 13 marzo scorso, 20.000 studenti delle scuole superiori che sono stati accolti dai 46 atenei italiani e stranieri partecipanti, per parlare e ascoltare di scienza e rendersi conto che non è vero che farlo è difficile o noioso.
 

PERCHÉ DIFENDO LA SCUOLA PUBBLICA
Corrado Augias - La Repubblica 20/03/2015
 
Egregio Augias, ho letto con stupore l'articolo sulla scuola del professor De Nicola ( Repubblica, 18 marzo).
Contrapporre la scuola definita "pubblica" alla scuola definita "libera", oppure l'"ideale" della libertà di educazione alla "mistica" (?) della scuola pubblica, così come attribuire l'influenza di Atene sulla cultura umana al presunto "buono scuola" (con notevole forzatura concettuale) sono espedienti retorici che a me paiono grossolani. Noto — con rammarico anche maggiore — che nell'articolo non compare mai la parola "Costituzione". Lo interpreto come il desiderio, non solo del professor De Nicola del resto, che la Carta scompaia dall'orizzonte politico, con le sue tutele, garanzie e conquiste. A fine lettura ho pensato che vero obiettivo fosse difendere non tanto un'ideale libertà d'insegnamento ma lo status e i privilegi del sistema scolastico privato all'interno del quale prevalgono gli istituti confessionali. Ognuno è libero di professare certe predilezioni, di esporle e di difenderle. Forse però gioverebbe una maggiore trasparenza nell'esporne le motivazioni, soprattutto su un giornale come Repubblica che ha sempre difeso una corretta laicità dello Stato.
— stefano.piccinni@istruzione.it
 
L'intervento del professor De Nicola ha suscitato reazioni e sconcerto in molti lettori di questo giornale. Se posso tentare una sintesi dei contenuti direi che ha colpito non tanto l'elogio delle scuole che si definiscono "parificate" ma il tono generale che pareva volesse più attaccare il sistema scolastico pubblico che non difendere quello privato. Non vale la pena di perdere tempo a parlare dei diplomifici dove, pagando, si strappa un inutile pezzo di carta. Sappiamo che il nodo vero sono le scuole confessionali, cioè cattoliche. In genere si richiama l'articolo 33 della Costituzione per parlare di soldi, cioè i famosi "oneri per lo Stato" che quelle scuole non dovrebbero rappresentare. Non è solo quello il problema. La vera questione riguarda la libertà dell'insegnamento che lo stesso articolo 33 prevede e che rappresenta il fondamento di uno Stato laico. Come può essere libero un insegnante che — all'interno di quel sistema — deve adeguare la sua didattica a dei dogmi di fede? Pena l'espulsione? Ridurre tutto, come ha fatto il professor De Nicola, a una faccenda di bonus e di voucher è solo un aspetto del problema, forse nemmeno il principale. Giorni fa il prof Daniele Checchi, insegna Economia a Milano, ha fatto dichiarazioni che a me paiono costituzionalmente corrette. C'è un solo caso in cui è legittimo l'aiuto alle scuole private: quando manchi il servizio pubblico; segnatamente le materne. Per le altre scuole è giusto che chi sceglie un servizio diverso da quello garantito dallo Stato, paghi un costo aggiuntivo.

MODELLO DI GOVERNANCE E LOGICA DI PROFITTO
Nadia Urbinati - La Repubblica 18/03/2015
 
ILGOVERNO ha in cantiere due riforme importanti, quella che ridisegna la Rai e quella che riorganizza la scuola. Due settori fondamentali, da anni maltrattati: la Rai a causa della legge Gasparri che sacrifica il pluralismo e la libertà di informazione sull'altare del duopolio Stato-Mediaset, e la scuola a causa dello stillicidio delle risorse al quale vari governi l'hanno condannata, mortificando l'educazione nel suo complesso: gli educatori e gli studenti. In un precedente articolo avevamo messo in dubbio alcune proposte, come quella della parziale detassazione della retta per chi iscrive i figli alle private parificate e quella del contributo del 5 per mille che i cittadini possono destinare, se lo vogliono, alle scuole, secondo una logica di scelta privata che è in contraddizione con il bene istruzione. Una critica in questo senso è venuta anche da Chiara Saraceno su questo giornale.
 

GUSTAVO ZAGREBELSKY: "QUELLO DEMOCRATICO E' IL CONTESTO IN CUI VOGLIAMO DISCUTERE"
Vera Schiavazzi - La Repubblica 17/03/2015
 
Il giurista e costituzionalista è il presidente della Biennale Democrazia, quest'anno dedicata ai  grandi cambiamenti, dal lavoro al valore delle persone, dalle tecnologie al clima
 

COALIZIONE SOCIALE
Stefano Rodotà - La Repubblica 15/03/2015
 
ENTRATA nell'uso, l'espressione "coalizione sociale" è stata ieri ufficializzata da Maurizio Landini. Come, e perchè, si cerca una nuova forma dell'azione politica collettiva? Negli ultimi tempi si è delineato un rapporto tra Stato e società, o piuttosto tra governo e società, segnato da un forte riduzionismo, dove l'unico soggetto sociale ritenuto interlocutore legittimo è l'impresa. Versione casereccia della ben nota affermazione di Margaret Thatcher secondo la quale la società non esiste, esistono solo gli individui. Individui atomizzati separati tra loro: ieri, considerati "carne da sondaggio", oggi sbrigativamente ridotti a carne da tweet o da slide.
 

RODOTÀ: “COSÌ STRAVOLGONO ANCHE LA FORMA REPUBBLICANA”
Stefano Rodotà - MicroMega on line 10/03/2015
 
E dunque, nonostante i Nazareni tramontati e i mal di pancia dei dissidenti Pd, si va verso la riforma del Senato. “Questa riforma è un cambiamento radicale del sistema politico-istituzionale: cambia la forma di governo e viene toccata la forma di Stato”, spiega Stefano Rodotà, emerito di diritto civile alla Sapienza. “E dire che si sarebbe dovuto procedere con la massima cautela: questo Parlamento è politicamente delegittimato dalla sentenza della Consulta. Invece si è scelto di andare avanti imponendo un punto di vista non rivolto al Parlamento, ma a un patto privato, il Nazareno”.
 

LA ROTTAMAZIONE DELLA DEMOCRAZIA
Domenico Gallo - MicroMega on line 10/03/2015
 
“Per liquidare i popoli si comincia con il privarli della memoria. Si distruggono i loro libri, la loro cultura, la loro storia. E qualcun altro scrive loro altri libri, li fornisce di un’altra cultura, inventa per loro un’altra storia. Dopo di che il popolo s’incomincia lentamente a dimenticare quello che è e quello che è stato. E il mondo intorno a lui lo dimentica ancora più in fretta!”.

Queste parole dello scrittore ceco Milan Kundera si attagliano in modo particolare al nostro Paese, dove da oltre 20 anni è in corso un processo di liquidazione della memoria che in questo tempo contorto si è trasformato in un vero e proprio uragano e si appresta a cogliere la sua vittoria definitiva attraverso una incisiva controriforma della democrazia costituzionale attuata mediante l'interazione fra la riforma elettorale e la revisione della Costituzione.
 

RADICALITA'
Michele Serra - L'Amaca 08/02/2015
 
NO, il Papa non è comunista. È il capo della Chiesa cattolica. A farlo sembrare “comunista” è la radicalità del suo sguardo sociale: il breve discorso in occasione della giornata pre-Expo indetta a Milano dal ministro dell’Agricoltura indicava nella struttura stessa della produzione del cibo, come di ogni altro bene, la causa dell’iniquità, della povertà e della fame. Se il Papa sembra “comunista” è perché quella radicalità di sguardo è smarrita, e lo è anche a causa della fine del comunismo (e per suo demerito). E siamo così disabituati, da parecchi anni, a discutere della struttura della società, che ogni concetto e ogni discorso che la rimette al centro ci appare ardito e rivoluzionario.
Non siamo più capaci, per dirla con il vecchio comunista contadino Davide Lajolo, di «veder l’erba dalla parte delle radici». Il discorso sul cibo è, in questo senso, esemplare. E anche piuttosto facile da capire: si produce cibo bastante per dodici miliardi di esseri umani (dati Fao) ma gli sprechi, la cattiva distribuzione e la speculazione lasciano alla fame e alla denutrizione un quinto del genere umano. Non si ha fame perché manca il cibo, si ha fame perché si è poveri, esclusi, impotenti. Sarebbe un vero miracolo (termine papista…) se Expo, oltre che una parata di potenti, riuscisse a essere in qualche modo fedele al suo mandato “etico”, che è quello di rimettere la questione del cibo, la questione agricola, al centro del dibattito politico mondiale.

SE CHIAMARE ORANGO LA KYENGE "FA PARTE DEL LINGUAGGIO POLITICO"
Michele Serra - La Repubblica 06/02/2015
 
LEGGERSI le due paginette con le quali la Giunta per le immunità del Senato dichiara non processabile il collega Calderoli, che diede dell'orango a Cécile Kyenge, è utile per capire quanto lo spirito corporativo vincoli tra loro gli esponenti politici, o gran parte di loro, ben al di là di quanto le idee possano dividerli. La discussa parola "casta" risuona, in casi come questo, con indiscutibile efficacia, lampante come un autoscatto.
 

L'ABISSO DELLA DISUGUAGLIANZA
Mariana Mazzuccato - La Repubblica 31/12/2014
 
LA CRISI finanziaria globale che è cominciata nel 2008 e i cui strascichi si fanno ancora sentire pesantemente, è stata provocata da due fattori. Il primo è l'aumento della disuguaglianza, specialmente negli Usa, che ha costretto le persone a indebitarsi fortemente.
IL secondo fattore è stata la presenza di un settore finanziario deregolamentato, che negli ultimi decenni è cresciuto a ritmi ben maggiori della produzione industriale perché la finanza, per speculare, prestava a se stessa invece che all'industria. Le politiche per il dopo-crisi dovrebbero quindi puntare prioritariamente a ridurre la disuguaglianza e indurre la finanza a coltivare e prestare soldi all'economia reale. Eppure oggi stiamo fallendo miserevolmente su entrambi i fronti.
 

IL PAESE SENZA REGOLE E LE VITE DI SERIE B
Gad Lerner - La Repubblica 31/12/2014
 
DISINFORMAZIONE in tempo irreale. La velocità dei tweet istituzionali ha scandito la tragedia della Norman Atlantic.
SEMPRE in contrasto gli uni con gli altri, che provenissero dalla Marina Militare o dalla Guardia Costiera, se non addirittura da Palazzo Chigi, lungi dal ragguagliare i cittadini i tweet hanno finito solo per minare la credibilità delle fonti ufficiali, cioè dello Stato italiano. Notizie sbagliate, cifre non verificate, l'improvvida rassicurazione «niente morti italiani» smentita purtroppo il giorno dopo, la doppia lista passeggeri...
 

POVERTA': LA MAPPA DELLA DISPERAZIONE IN ITALIA
Patrizio Gonnella - Espresso Online 30/12/14

“”Povertà. Una parola d’altri tempi, uscita forse da un documentario in bianco e nero di persone mal vestite che s’imbarcano su una grande nave, dirette all’altro capo del mondo. Oggi le cose sono molto diverse, e si può essere poveri anche con il telefonino in tasca: basta non avere di che provvedere in maniera autonoma per sé e la propria famiglia. L’istituto europeo di statistica, per esempio, misura quante sono le persone a rischio di povertà o esclusione sociale. Un numero che nel 2013 ha raggiunto quota 28,4%, il secondo peggior risultato del nostro paese negli ultimi dieci anni. Ma come succede spesso in Italia, il singolo dato nasconde una varietà estrema di situazioni. E allora uno dei modi più semplici per capire quanta differenza ci sia, in realtà, è guardare ai dati regione per regione.
La prima cosa che salta all’occhio è la Sicilia, dove è dal 2011 che le persone a rischio povertà sono più di quelle che stanno “bene”: superata ormai la soglia del 50%, è questa – ormai da anni – la regione in cui la situazione è più grave. Due milioni e settecentomila persone, facendo i conti, su un totale di cinque milioni.
In altre aree le cose sono meno negative, ma in pochi anni sono peggiorate in maniera notevole. In Puglia e Molise, per esempio, nel 2009 a rischiare la povertà era circa il 35% della popolazione: valori che oggi sono aumentati – rispettivamente – di 7,8 e 9,6 punti percentuale.In generale il sud se la cava peggio, ma anche al centro-nord c’è chi fa eccezione: la Liguria. Qui le persone a rischio povertà erano relativamente poche, eppure negli ultimi quattro anni sono quasi raddoppiate. E se in generale la povertà aumenta quasi ovunque, bisogna arrivare fino a Bolzano per trovare un miglioramento: qui, unica area in Italia, dal 2009 al 2013 è passata dal 12,6 al 12,3%. Magra consolazione anche per i piemontesi, dove la situazione risulta invariata.
Ma chi sono queste persone? Chi ha perso e sta perdendo di più, negli ultimi anni? Per capirlo possiamo ricorrere a un altro indice ISTAT, quello che misura la povertà relativa familiare : esso cioè indica quante sono le famiglie che non possono permettersi spese al di sotto di una certa soglia, e come sono composte.
Chi è allora la persona su cui pesa di più il carico di mantenere una famiglia povera? Coloro che cercano occupazione, innanzi tutto, e poi giovani con meno di 35 anni e lavoratori in proprio – soprattutto al sud; c’è più povertà, inoltre, anche dove si è studiato poco. E se in generale negli ultimi anni la situazione si è aggravata per tutti, a rimetterci meno sono soprattutto le generazioni più anziane: gli ultra 65enni sono fra i pochissimi per cui la povertà cala, mentre nei pensionati aumenta appena. Nulla a che vedere con la situazione dei giovani, che è peggiorata e peggiorata molto.
In fondo non è complicato: una persona povera è una persona che non guadagna abbastanza. E il sospetto che sia anche una questione generazionale diventa forte se guardiamo proprio ai redditi delle persone a seconda della loro età. Come sono cambiati negli ultimi anni? E guadagnano più i giovani o gli anziani? Scopriamo così che la crisi c’entra solo in parte, e semmai ha solo aggravato una situazione che stava già peggiorando da tempo. Andiamo per ordine: i dati arrivano dalla Banca d’Italia e riguardano i bilanci delle famiglie italiane fino al 2012 . Uno studio che rende evidente il problema: dal 2006 gli unici redditi relativi (cioè rispetto alla media italiana) a crescere sono quelli di chi ha più di 55 anni. Quelli degli over 65, per esempio, otto anni fa erano poco sotto la media mentre oggi la superano del 15%.
La situazione invece peggiora per tutti gli altri e giù fino ai 30enni, il cui reddito relativo ha preso il colpo più pesante rispetto a vent’anni fa.
La disuguaglianza fra giovani e anziani diventa ancora più evidente se guardiamo alla ricchezza. Da un lato questo non deve sorprendere troppo: lavorando per dieci, venti o trent’anni in più si ha tempo per mettere da parte il proprio denaro – magari comprare una casa che da sola costituisce buona parte della ricchezza degli italiani.
Ma quand’è che troppo diventa troppo? Difficile dirlo a priori, eppure impressiona il calo nella ricchezza relativa dei giovani: dal 1991 è diminuita del 76% mentre quella degli over 65 è aumentata di oltre il 50%. Anche i quarantenni se la passano tutt’altro che bene, con una perdita del 44%.
Certo, dirà qualcuno, reddito e ricchezza degli anziani in qualche modo tornano indietro ai più giovani. È vero. Ecco allora un’intera generazione fondata sulla carità e la paghetta del babbo e del nonno: chiamateli pure bamboccioni.”"

DAL WEB ALLA PILLOLA DEL SAPERE COSÌ IMPAREREMO TRA DIECI ANNI
Riccardo Staglianò - La Repubblica 29/12/2014
 
LA CAMPANELLA di "Roboprof" suona per noi. Se le classi del futuro saranno sempre più online non ci saranno problemi di capienza. Ognuno, da casa sua, potrà affollare le aule virtuali dei docenti migliori. Ma per correggere i 160 mila compiti di chi ha seguito via web le sue lezioni di informatica, il pur leggendario Sebastian Thrun non poteva bastare. Così, per i test a risposta multipla, sono scesi in campo i suoi assistenti algoritmici.
 


MA IL PENSIERO CRITICO NON SI IMPARA ONLINE
Paolo Legrenzi - La Repubblica 29/12/2014
 
QUANDO un esperto riconosce un profumo, può non ricordarsi se lo ha già sentito, se è un misto di altri profumi che conosce già, oppure se ne ha letto una descrizione accurata. Per molte informazioni non è importante come ci arrivano, quale canale sensoriale attraversano. Sappiamo spesso di aver già sentito una storia: l'avevamo letta, avevamo visto un film, o ci era stata semplicemente raccontata? Esiste insomma un livello di elaborazione che prescinde dalle fonti sensoriali.
 

"DEMOCRAZIA SIGNIFICA RESISTENZA"
Berna Gonzalez Harbour - La Repubblica 27/12/2014
 
NEL 2003, Tzvetan Todorov stilò un inventario dei valori, una lista di buone intenzioni che l'Europa ha tentato di esportare nel mondo con la stessa risolutezza con cui ha esportato automobili, ortaggi o tecnologia dell'alta velocità. Non è che inventasse nulla, era tutto già più o meno scritto nelle nostre carte dei diritti, nelle nostre costituzioni: la libertà individuale, la razionalità, la laicità, la giustizia. Sembrava ovvio. Oggi, tuttavia, Todorov vede allontanarsi quei valori come quel punto all'orizzonte che sembrava raggiungibile e invece riappare di nuovo lontano. «Quando diciamo valore, non significa che tutti lo rispettino, è più un ideale che una realtà, un orizzonte verso il quale siamo diretti», dice. «In questo momento, tuttavia, questi valori sono minacciati».
 

PERSONE
L'Amaca  di Michele Serra La Repubblica 18/12/2014)

“”A chi può venire in mente di sparare a un bambino con l’intento, dichiarato, di colpire gli adulti che lo hanno generato? A chi non è stato neanche sfiorato dal pensiero che un bambino è una persona, e che le persone non appartengono a nessuno se non alla loro sacra libertà di esistere, di vivere, di andare incontro al loro destino. Per la cultura tribale degli assassini di Peshawar le persone non esistono. Esistono le tribù: la loro, che è al servizio di Dio, e tutte le altre che Dio maledice. Non esistono le donne e non esistono i bambini se non in funzione dei maschi barbuti che ne sono i padroni, unici attori del mondo, unici giudici. Le donne sono bestiame addetto alla riproduzione, i bambini futuri soldati da destinare alla guerra santa se “dei nostri”, da sterminare se “dei loro”. E in quel disegno rozzo ma chiaro di sopraffazione divina, anche l’ovvia neutralità dei bambini può essere ignorata. Diventano fantocci da scannare, errori da cancellare. Si può salire su un autobus e sparare in faccia a una ragazzina perché vuole studiare, e Dio non vuole. Si può entrare in una scuola e uccidere uno a uno “i figli del nemico”. Si può, ma a una condizione: avere la certezza che le persone non esistono.”"

SE FOSSI GRECO
l'Amaca di Michele Serra - La Repubblica 13/12/2014
 
“”Se fossi greco, l’idea che “i mercati” considerano con orrore una eventuale vittoria di Tsipras mi spingerebbe a votarlo. Così, almeno per provare. O se preferite per rischiare. Il ricatto implicito che l’economia finanziaria esercita sulla politica è già ampiamente opinabile in tempi di prosperità; ma in tempi di penuria diventa, oltre che opinabile, anche fragile, perché quando non si ha quasi più niente da perdere fa meno paura provare a ribaltare il tavolo. Oltre tutto, con il passare del tempo e con l’accentuarsi delle diseguaglianze, l’idea che l’andamento dei mercati finanziari sia il frutto di leggi oggettive, come le maree e le fasi lunari, è sospettabile di essere solo la copertura ideologica di pratiche economiche che non corrispondono affatto al benessere diffuso (come, per esempio, le fasi virtuose dell’economia produttiva); ma riflettono gli interessi di una minoranza di speculatori, essendo la maggioranza dei risparmiatori già ridotta da tempo alla lesina. È bene tenersi alla larga dalla dietrologia facilona, quella che dipinge il mondo come un gregge informe di sudditi nelle mani della plutocrazia; però cominciare a considerare “la Borsa” e “i mercati” non più come termometri neutrali, ma come attori politici veri e propri, sarebbe un bel passo avanti.”"

LA GRANDE INGIUSTIZIA DI UNA SOCIETÀ MERITOCRATICA
Roberto Esposito - La Repubblica 12/12/2014
 
WHO defines Merit? – si chiedeva qualche mese fa Scott Jaschik, direttore di Inside Higher Ed., in un dibattito sul tema con i leader dei maggiori istituti universitari statunitensi. Una domanda, tutt'altro che nuova, ma sempre più relativa a complesse questioni etiche, tecniche, finanziarie. Già posta, all'origine della nostra tradizione, da Platone a proposito del "governo dei migliori", essa è stata ripresa con accenti diversi da filosofi, economisti, politici senza mai arrivare a una risposta conclusiva.
 

SOCIOLOGIA CATTOLICA
Enzo Marzo - Critica liberale 11/12/2014
 
Giuseppe De Rita è presidente del Censis, istituto foraggiato anche da quattrini pubblici. E' un raffinato sociologo che da decenni gira e rigira come un calzino la società italiana rifilandoci ricette su ricette, prendendosela contro la corruzione frutto dell'amoralismo individualistico degli italiani. Un vero moralista della più consolidata scuola cattolica. Alla fine della sua lunghissima carriera assume come segretario generale e direttore del Censis suo figlio, il suo trota, e risponde ai giornalisti con tipiche espressioni del degrado della comunicazione pubblica: "cazzate...". Come il Razzi di Crozza, ci dice con candore: "Amico caro, ma fattiti il Censis tuo, torniamo alla famiglia, al principio dinastico, seguiamo l'esempio luminoso di Bossi e di Casaleggio, altro che lo stato moderno con tutte le sue cazzate sul conflitto di interessi ..."
 

QUANDO LA LIBERTÀ DI NON CREDERE È UN REATO
Michele Sasso - Espresso online 11/12/2014

Dall’Arabia Saudita al Pakistan gli atei e agnostici sono vittime di discriminazioni sistematiche: condanne, punizioni, campagne d’odio. Fino alle pena capitale per chi abbandona la religione di stato. Tutto nel rapporto dell’International Humanist and Ethical Union



IL PRIMATO DELL'ETICA PUBBLICA
Stefano Rodotà - La Repubblica 08/12/2014
 
DI FRONTE alla realtà del comune di Roma posseduto da una organizzazione criminale si può essere scandalizzati e indignati, ma non sorpresi. Questa non è una novità imprevedibile, ma la manifestazione ulteriore (estrema?) di una patologia che dovevamo aver imparato a conoscere, che s'era diffusa da tempo nel sistema politico e nel tessuto sociale. Che cosa ci racconta da anni Roberto Saviano, che cosa ci hanno mostrato le inchieste inascoltate, i casi di politici condannati per i loro legami con gruppi criminali o salvati da generosi e inquietanti rifiuti di autorizzazioni a procedere? Sapevamo di vivere in una perversa normalità, dalla quale si è troppe volte distolto lo sguardo o con la quale ci si è abituati a convivere, anche perché sono venuti inviti perentori a non farsi possedere da reazioni moralistiche. Ora, per l'ennesima volta, la vicenda romana induce molti ad affermare che questa dev'essere l'ultima volta. Sarà vero, si può essere fiduciosi?
 
 

SE IL CENSIS DISEGNA UN PAESE RASSEGNATO
Guido Crainz - La Repubblica 06/12/2014

SEMBRA scomparire sin la speranza di ripresa, nell'ultimo rapporto del Censis: "Dopo anni di trepida attesa essa non è arrivata e non è più data per imminente", si annota nelle prime righe.
SI È delineata semmai la divaricazione fra "una sconcertante rassegnazione collettiva" e le fughe in avanti di una politica che moltiplica inutilmente riforme e manovre per scuotere l'inerzia del corpo sociale. Una allarmante forbice fra l'impoverimento reale e un decisionismo inconcludente, in un panorama segnato dalla mancanza di comunicazione e di relazione fra i diversi soggetti.
 

QUEL FILM SUL LAVORO E LA DIGNITÀ DA RITROVARE
Stefano Rodotà - La Repubblica 01/12/2014

SI SCRIVE e si parla molto della dignità, ma questa parola scompare immediatamente proprio quando i fatti quotidiani imporrebbero di tener conto del principio che essa evoca. Troppi politici si rifugiano in un realismo ipocrita per sostenere che si tratta di un principio che impone oneri troppo gravosi; i giuristi scoprono che siamo di fronte ad un riferimento troppo generico perché si possa invocarlo come base di interventi concreti. E allora serve un altro occhio, capace di guardare a fondo nella società e nelle sue dinamiche, per mostrarci quanto possano essere grandi i guasti prodotti dall'abbandono di quel principio fondativo di libertà e diritti. Lo hanno fatto Jean-Pierre e Luc Dardenne con un film — Due giorni, una notte — sulla condizione umana nel tempo del lavoro difficile o negato.
 

IL DELICATO EQUILIBRIO TRA DIRITTO A CONOSCERE LE PROPRIE ORIGINI E DIRITTO ALLA RISERVATEZZA
Chiara Saraceno - MicroMega online 01/12/2014

Fino a dove può arrivare il diritto a conoscere le proprie origini? Fino alla rottura di quel patto di anonimato che spesso ha costituito la garanzia perché un neonato che una donna non poteva, o voleva, tenere con sé potesse nascere in sicurezza ed essere affidato a qualcuno che ne è diventato pienamente genitore?
Sta arrivando in discussione in Parlamento una proposta di legge bipartisan intesa ad ampliare la possibilità di rintracciare i propri genitori naturali (di fatto pressoché esclusivamente la madre), in ottemperanza, appunto, al principio del diritto di ciascuno a conoscere le proprie origini. Essa consentirà innanzitutto alla donna che ha partorito in modo anonimo di cambiare idea, anche ad anni di distanza, dando la propria disponibilità ad essere rintracciata (non già a pretendere di assumere un ruolo, uno statuto, di madre cui ha a suo tempo rinunciato). Questo va bene. Allarga i gradi di libertà della donne che si sono trovate nelle circostanze di non poter riconoscere il bambino che avevano partorito. Consente quindi a molte persone che non sono state riconosciute alla nascita e sono state adottate di rintracciare, se lo desiderano, la donna che li ha partoriti, se questa oggi è d’accordo.
 

DIGITALE I NUOVI VOLTI DELLA DISEGUAGLIANZA
Edoardo Segantini - Il Corriere della Sera 01/12/2014
 
Tra le forme di ineguaglianza sociale c’è anche quella tecnologica. La prima e più nota forma di digital divide è quella geografica: la distanza, cioè, che separa i Paesi che hanno accesso a Internet veloce da quelli che non l’hanno. Secondo l’ultimo Ict Development Index, che classifica i Paesi in base alla dotazione e alla competenza digitale, l’Italia si piazza solo al trentaseiesimo posto, dietro a Paesi come Emirati Arabi, Qatar e Barbados. La Danimarca supera la Corea del Sud come Paese più connesso del mondo.
Una lettura attenta dei dati mostra però che, in realtà, il digital divide ha molte facce. Una è la dicotomia classica Paesi ricchi-Paesi poveri. Certo, Internet cresce ormai rapidamente in tutto il mondo, con 3 miliardi di persone online . Nel 2013 la diffusione del web è aumentata dell’8,7% anche nei Paesi in via di sviluppo, in cui vive il 90% delle persone prive di accesso alla Rete. Tuttavia le differenze Nord-Sud restano profonde.
Grandi sono poi le disparità tra i Paesi più avanzati (ad esempio tra Scandinavia e Italia) ma anche all’interno dei singoli Paesi: un esempio clamoroso di digital divide è il fossato che separa le zone urbane e metropolitane dalle aree montane e rurali degli Stati Uniti. Tanto profondo da alimentare il già diffuso disincanto degli elettori verso l’amministrazione Obama.
Ma non meno drammatiche sono le distanze culturali nel «mondo avanzato». Questo secondo digital divide è particolarmente accentuato in Italia, dove molto poco, finora, è stato fatto per contrastare il fenomeno. Sul quale pesa di certo l’inadeguatezza dell’attrezzatura tecnologica ma che, a sua volta, genera un’insufficiente domanda di nuovi servizi digitali. Scarsa, ad esempio, è la pressione esercitata dall’opinione pubblica sullo Stato per ottenere buone forme di egovernment , cioè di burocrazia digitale chiara e comprensibile. Una parte dei cittadini preferisce la coda allo sportello all’impaccio davanti al computer.
Da un lato c’è il divario generazionale tra i nativi digitali e le persone più anziane. L’«alfabetizzazione tecnologica», tante volte invocata, non è mai stata neppure tentata in modo serio e su vasta scala. Il servizio pubblico radiotelevisivo, cui forse sarebbe spettato il compito di realizzare un’iniziativa del calibro di «Non è mai troppo tardi», aggiornata all’era digitale, non ha dedicato al tema un impegno adeguato. Nei Paesi scandinavi, al contrario, la semplificazione amministrativa è passata attraverso un’educazione all’ egovernment che ha coinvolto simmetricamente gli impiegati pubblici e gli utenti.
C’è infine, più nascosto ma non meno cruciale, un terzo tipo di digital divide , ed è quello nel mondo giovanile. In questa parte della società esistono le distanze forse più grandi e, in prospettiva, più importanti. Una delle rappresentazioni più in voga è quella dei ragazzi «tutti uguali», intontiti, curvi sullo smartphone , presi a scambiarsi informazioni irrilevanti sui social network . Peccato sia anche una delle più rozze e false.
Anche il mondo giovanile si sta, al contrario, polarizzando: da una parte ci sono, effettivamente, i giovani «schiavi» delle tecnologie della comunicazione, quelli che se ne fanno dominare, poco abili a gestire il proprio tempo, privi di «disciplina mediatica». Dall’altra però emerge un tipo di giovani che della tecnologia fa un uso attento e maturo, integra vecchi e nuovi media, ama la lettura, usa i mezzi a disposizione per un progetto di crescita. Il loro profilo, c’è da scommettere, coincide con quello dei giovani che trovano lavoro, in Italia o all’estero, oppure riescono a crearlo. Forse non sono la maggioranza ma l’esperienza quotidiana ci insegna che non sono pochi.
Un buon progetto culturale (e occupazionale) per l’Italia non può prescindere, in partenza, da una comprensione e da una valorizzazione del ruolo di questi giovani attrezzati: senza dimenticare i loro coetanei meno bravi.

A SANGUE FREDDO
Gad Lerner - La Repubblica 29/11/2014

È RICOMINCIATA in Italia la caccia al rom, o zingaro che dir si voglia, da sempre il più comodo e popolare dei bersagli con cui prendersela quando anche tu vivi ai margini e te la passi male.
SOLO che stavolta la caccia al rom viene orchestrata da piromani a sangue freddo. Smaliziati cercatori della prova di forza a contatto diretto col nemico etnico. Professionisti che mirano all'incendio delle periferie metropolitane, dove si contendono i marciapiedi con i centri sociali antagonisti. È lì, nel vuoto della politica, che costoro hanno intravisto lo spazio in cui costruire un nuovo polo di destra radicale. Una destra verdenera, o fascioleghista, pronta a plasmarsi sul modello di un alleato robusto come il Front National di Marine Le Pen. Il loro credo è l'etno-nazionalismo, il loro faro è Putin, la costruzione da abbattere è l'Europa.
 

L'ALTERNATIVA EUROPEA AI POPULISMI
Nadia Urbinati - La Repubblica 28/11/2014

LA LUNGA marcia dei partiti verso l'erosione di credibilità sembra senza fine, come dimostrano anche le recenti consultazioni regionali, dove la vittoria dei candidati del Pd è stata ottenuta al prezzo di un'astensione che fa impallidire quella proverbiale degli Stati Uniti. L'accusa di molti astensionisti (lo si capisce dai social network) è che i partiti occupano le istituzioni senza riuscire a portare giovamento alla società. Accuse che sembrano dare ragione a quel che un secolo fa sosteneva Roberto Michels: la fatale trasformazione oligarchica dei partiti. Ma se l'anemia della partecipazione è scritta nel dna del governo rappresentativo, allora perché parlare di declino di legittimità della democrazia dei partiti?


PERCHÉ INTERNET HA BISOGNO DI NUOVE REGOLE
Stefano Rodotà - La Repubblica 27/11/2014

PERCHÉ si è tornati a discutere intensamente di nuove regole per Internet, addirittura di una sua "costituzione"? La spiegazione si trova nel congiungersi di una serie di fattori tecnologici, politici e istituzionali, che hanno modificato un contesto considerato ormai stabile, spingendo più d'uno a sottolineare che siamo di fronte a una possibile svolta storica.
Era sembrato che si fosse consolidata una impostazione che lasciava poco spazio ai diritti. Dalla brutale affermazione del 1999 di Scott McNealy — «Avete zero privacy. Rassegnatevi» — fino alla sbrigativa conclusione di Mark Zuckerberg sulla fine della privacy come "regola sociale", era emersa una linea caratterizzata dal congiungersi di due elementi: l'irresistibilità tecnologica e la preminenza della logica economica.
 

"RAMMENDARE LE PERIFERIE COSÌ SALVEREMO LE NOSTRE CITTÀ"
Renzo Piano - La Repubblica 26/11/2014

QUANDO il presidente Giorgio Napolitano mi ha nominato senatore a vita non ho chiuso occhio per una settimana. Mi domandavo: io, un architetto che la politica la legge solo sui giornali, cosa posso fare di utile per il Paese? Un Paese bellissimo e allo stesso tempo fragile. Sono state notti di travaglio ma alla fine si è accesa una lampadina: l'unico vero contributo che posso dare è continuare a fare il mio mestiere anche in Senato e metterlo a disposizione della collettività. Mi sono ricordato di una scena del film Il postino con Massimo Troisi, quando il personaggio di Pablo Neruda spiega: sono poeta e mi esprimo con questo linguaggio. Io invece sono un geometra genovese che gira il mondo e costruisco usando il linguaggio che conosco, quello dell'architettura. Ecco cosa posso fare.
 

ELOGIO DELLO ZERO IL VOLTO NICHILISTA DELLA MATEMATICA
Piergiorgio Odifreddi La repubblica 24/11/2014

LO zero, primo elemento della lista dei numeri interi, è in realtà l'ultimo arrivato sulla scena. Gli uomini avevano già effettuato difficili calcoli aritmetici, risolto complicate equazioni algebriche e dimostrato profondi teoremi geometrici per secoli e millenni, prima che gli Indiani e i Maya introducessero in matematica un analogo di concetti quali il nulla, l'assenza, il silenzio, il buio, il non-essere e il vuoto, che erano già stati considerati, più o meno timidamente, in altri campi.
In letteratura, lo zero aveva fatto la sua prima apparizione nell'episodio dei Ciclopi dell' Odissea, quando Ulisse dichiarò a Polifemo di chiamarsi Nessuno. Molti altri personaggi in seguito ebbero nomi analoghi, dal capitano Nemo di Jules Verne (1870) al Nowhere man dei Beatles (1965).
 

L'AMACA
Michele Serra - La Repubblica 27/11/2014

PER salvare le periferie dall'abbandono, scrive Renzo Piano, ci vogliono «amore e identità», e «piccoli interventi di rammendo che possono innescare la rigenerazione anche attraverso mestieri nuovi, microimprese, start up, cantieri leggeri e diffusi, creando così nuova occupazione». È una visione modernissima (leggera e diffusa, come ogni rete efficace), molto più dinamica e realistica del greve gigantismo urbanistico che ha portato agli interminabili filari di casamenti anonimi: privi di amore e identità, appunto.
Se proviamo a sostituire alla parola "periferie" la parola "campagne", o la parola "territorio" in senso lato, il risultato non cambia. L'abbandono, il degrado, l'impoverimento dei suoli chiedono, per trovare cura, amore e identità in misura direttamente proporzionale alla ottusa contabilità del "tutto e subito". E filiere virtuose di piccole imprese, idee nuove, attività consorziate, nuova socialità, rispetto dei ritmi della natura, preveggente valutazione delle conseguenze dei nostri gesti e degli impatti ambientali. Colpisce che nel vivace dibattito in corso su agricoltura e cibo questa stessa impostazione, che è decisamente progressista, sia spesso tacciata di essere "nostalgica" o peggio "reazionaria". Toccherà anche a Renzo Piano, e alla sua idea di "rammendo delle periferie", essere accusato di essere un patetico reazionario?

SOLIDARIETÀ LA PIÙ FRAGILE E NECESSARIA DELLE UTOPIE
Roberto Esposito - La Repubblica 20/11/2014
 
NEL Gargantua e Pantagruel Rabelais racconta che, pronunciate nel freddo dell'inverno, alcune parole gelano e non vengono più udite, per poi, quando cambia la stagione, tornare a parlarci. È quanto sembra accadere alla categoria di solidarietà, cui Stefano Rodotà dedica il suo ultimo saggio, edito da Laterza col titolo Solidarietà. Un'utopia necessaria. Dopo essere stata a lungo esiliata dalla sfera del discorso pubblico, essa torna a riaffiorare con rinnovata attualità in una fase in cui il lessico freddo della scienza politica sembra insufficiente a raccontare la nostra vita.
    
 

"PIÙ IL CONFLITTO DIVENTA RELIGIOSO PIÙ SI ALLONTANA UNA SOLUZIONE"
Rosalba Castelletti - La Repubblica 20/11/2014
 
«IL conflitto ha assunto da tempo una dimensione religiosa. E più si parla di religione, più si allontana una soluzione», Etgar Keret, lo scrittore israeliano autore di libri tradotti in 35 Paesi e 31 lingue, è pessimista all'indomani dell'attacco a Gerusalemme.
È stato il primo attentato in una sinagoga. Pensa che possa portare una dimensione religiosa nel conflitto politico?
«È così da tempo, da entrambe le parti. Storicamente il conflitto israelo-palestinese è stato un conflitto nazionale: si parlava di Stati, non di jihad. Ma ora sono stati introdotti argomenti che potrebbero innescare in qualsiasi momento un ciclo di violenze religiose e che quindi rendono il conflitto non più risolvibile. Perché un conflitto nazionale ha anche un carattere pragmatico: le parti cercano la soluzione che le accontenti di più. Ma quando è in gioco la religione, non ci sono più limiti perché si pensa che tutto faccia parte di un progetto più grande».
 

LA CURIA MILANESE AI PROF. DI RELIGIONE "segnalateci tutte le scuole pro omosessuali"
Repubblica online 13/11/2014

“”Milano, la Curia ai professori di religione: “Segnalateci tutte le scuole pro omosessuali”Una richiesta scritta ai 6.102 insegnanti di religione della Diocesi ambrosiana per avere la segnalazione dei colleghi e dei progetti che nella loro scuola trattano con gli alunni temi legati all’omosessualità e all’identità di genere. La lettera, riservata, è stata messa online sul portale a cui accedono solo i prof di religione con una password. E appena in Curia è arrivata la notizia che il contenuto della missiva stava per diventare pubblico, come d’incanto la lettera è sparita. Con la precisazione che si trattava solo di «un’indagine informale». Alcuni docenti di religione però l’avevano già stampata e si erano interrogati sul suo significato, prima di girarla a Repubblica.
«Cari colleghi — si legge nella lettera scritta dal responsabile di settore della Diocesi, don Gian Battista Rota — come sapete in tempi recenti gli alunni di alcune scuole italiane sono stati destinatari di una vasta campagna tesa a delegittimare la differenza sessuale affermando un’idea di libertà che abilita a scegliere indifferentemente il proprio genere e il proprio orientamento sessuale». Una lettera che pare dunque pensata per mettere in piedi un sistema di contromisure che “proteggano” gli ignari studenti dalla “campagna” di indottrinamento e dal confronto con i temi “sensibili” per la chiesa cattolica. «Per valutare in modo più preciso la situazione e l’effettiva diffusione dell’ideologia del “gender” – scrive la Curia – vorremmo avere una percezione più precisa del numero delle scuole coinvolte, sia di quelle in cui sono state effettivamente attuate iniziative in questo senso, sia di quelle in cui sono state solo proposte».
Detto ciò, la richiesta è chiara: «Per questo chiederemmo a tutti i docenti nelle cui scuole si è discusso di progetti di questo argomento di riportarne il nome nella seguente tabella, se possibile entro la fine della settimana». La Curia conferma quella che definisce «indagine informale mirata a conoscere i progetti scolastici relativi al tema della differenza di genere».Sempre don Rota, responsabile del servizio per l’Insegnamento religione cattolica, cerca di mettere un freno alle polemiche e innesta la retromarcia rispetto alla lettera che esprimeva preoccupazione di fronte alla «campagna per delegittimare la differenza sessuale»: «L’iniziativa è contestualizzata nell’ambito della formazione in servizio dei docenti. La richiesta di informazioni nasce dalla preoccupazione che gli eventuali discorsi su temi così delicati e all’ordine del giorno del dibattito pubblico, vengano sempre affrontati dagli insegnanti di religione con competenza e rispetto delle posizioni di tutti».
Appena il testo della lettera ha cominciato a girare, c’è stato chi fra i prof di religione ha deciso di ritirarsi dall’insegnamento e chi invece ha girato il documento alle associazioni Lgbt. «È incredibile che una Diocesi di una città moderna come Milano chieda agli insegnanti di religione di segnalare le scuole in cui si parla di identità e orientamento sessuale – commenta Maria Silvia Fiengo, editrice ed esponente del Movimento famiglie Arcobaleno – I prof dovrebbero trasformarsi in “spioni” per conto di Dio (o di chi per lui) sul lavoro dei colleghi, dipendenti dello Stato. Non si capisce sulla base di quale investitura la Chiesa metta il naso in iniziative culturali proposte dalle scuole su temi di attualità e interesse anche per i ragazzi.”"

PERCHÉ LA MORALE CATTOLICA NON PUÒ CAMBIARE
Paolo Bonetti  Critica Liberale 11/11/2014
 
Dopo le recenti dichiarazioni di un alto prelato sulla “morte indegna” di Brittany e l’ancora più recente dichiarazione del cardinale Bagnasco, presidente dei vescovi italiani, sulla inammissibilità delle nozze gay, vorrei fare un discorso che potrà anche essere impopolare non solo fra molti cattolici entusiasti per le novità pastorali del nuovo papa, ma anche presso numerosi laici che non hanno mancato di mostrare verso queste aperture papali un apprezzamento eccessivo e sorprendente. Dico sorprendente perché nella sostanza papa Francesco si è limitato a ricordare che l’annuncio cristiano è un annuncio di misericordia e di perdono, purché, naturalmente, ci sia da parte dei peccatori il necessario pentimento e ravvedimento. Ma non ha mai detto che il peccato non esiste e che per la chiesa cattolica non valgono più le leggi morali che essa difende con coerenza da duemila anni.
 


IL REGIME PLUTOCOMUNISTA
Thomas Piketty - La Repubblica 11/11/2014
 
SECONDO i dizionari, il termine plutocrazia (dal greco plutos: "ricchezza", e kratos: "potere") indica un sistema di governo in cui la base del potere è costituita dal denaro.
PER analizzare il sistema che il Partito comunista cinese (Pcc) sta tentando di istituire a Hong Kong potremmo inventare un nuovo termine: il "plutocomunismo". Un sistema che formalmente autorizza libere elezioni, ma con solo due o tre candidati previamente approvati, a maggioranza, da un apposito comitato costituito da Pechino, egemonizzato dagli ambienti affaristici di Hong Kong e da altri oligarchi filocinesi.
 

DA ARISTOTELE A ORWELL TUTTA LA NOSTRA PARTE BESTIALE
Roberto Esposito - La Repubblica 10/11/2014

SE c'è una questione della quale non siamo mai venuti a capo è quella dell'animale. Eppure è quella che forse più di ogni altra dovrebbe riguardarci, dal momento che noi stessi siamo animali. Per giunta politici, come ha per primo spiegato Aristotele. Ciò su cui abbiamo invece centrato l'attenzione è la nostra superiorità di specie. Chiederci se l'animale parla, pensa o soffre, lo pone nella nostra prospettiva, fissandolo alla sua mancanza rispetto a quanto noi invece abbiamo. Mentre noi siamo nella storia, che possiamo mutare, egli resta inchiodato ad un ambiente naturale che non può eccedere. Perciò l'animale vive, ma non esiste; crepa, ma non muore, come ritiene Heidegger affermando che è "povero di mondo", rispetto a noi che, soli tra le specie viventi, ne siamo costruttori.


L'AMORE NON È SURROGATO
Michela Marzano - La Repubblica 13/11/2014
 
L'ORDINAMENTO italiano, per il quale la madre è colei che partorisce, contiene un espresso divieto della surrogazione di maternità, ossia della pratica secondo cui una donna si presta ad avere una gravidanza e a partorire un figlio per un'altra donna". È con queste parole che la Corte di Cassazione ha definitivamente rigettato la domanda di riconoscimento del piccolo Tommaso che era stata depositata da una coppia di Brescia. Avendo problemi di sterilità, la coppia si era recata in Ucraina dove, nel 2011, il bimbo era stato messo al mondo da una madre surrogata prima di essere registrato come figlio della coppia. Dopo il rientro in Italia, però, l'uomo e la donna erano stati smascherati e denunciati per falso anagrafico.
 

UNA POLITICA COSTITUZIONALE
Stefano Rodotà - La Repubblica 08/11/2014
 
L'ACCELERAZIONE impressa alla sua azione e, soprattutto, alle sue parole dal presidente del Consiglio- segretario del Pd richiede qualche riflessione sul modo in cui si va configurando il sistema politico italiano e sulla cultura che sostiene i suoi mutamenti. La più evidente riforma è quella incarnata dallo stesso Renzi, per il modo in cui definisce il suo rapporto con i cittadini, che assume tratti simili a quelli descritti in un libro dedicato al capo e alla folla da Gustave Le Bon. Renzi declina questo rapporto diretto nel linguaggio attinto dal mondo digitale e parla di "disintermediazione", ma la sostanza è quella. Si consegna all'irrilevanza tutto ciò che non è immediatamente riconducibile al consenso personale e alla sua proiezione sociale, com'è accaduto quando al milione di persone presenti a piazza San Giovanni si è contrapposto lo sguardo ostentatamente rivolto solo agli altri milioni di italiani (lo aveva già fatto Craxi contrapponendo le sue modeste percentuali parlamentari al consenso di cui diceva di godere nel Paese).
 

OLTRE L’EURO, DENTRO L’EURO: UNA NUOVA MONETA FISCALE PER VINCERE LA CRISI
Marco Cattaneo/Enrico Grazzini - MicroMega online 08/11/2014
 
Per uscire dalla crisi lo stato italiano dovrebbe recuperare almeno parzialmente la sua sovranità monetaria. Gli italiani stanno scoprendo sulla loro pelle che lo stato non può fare nulla per uscire dalla crisi se non ha una sua moneta: l'euro è infatti una moneta straniera concepita e creata a somiglianza del marco tedesco, e quindi intrinsecamente deflazionistica.
Senza moneta nazionale, siamo ingabbiati in una doppia trappola, quella della liquidità e quella del debito. Siamo dipendenti dall'euro, dalle decisioni della Germania, il principale azionista dell'Unione Europea e della Banca Centrale Europea: ma né la UE né la BCE ci tireranno fuori dalla crisi, anzi!


SENZA PIÙ DIO E SENZA STATO LA FELICITÀ BREVE DELL'ILLUMINISMO
Tzvetan Todorov - La Repubblica 07/11/2014

IN Francia il periodo più importante dell'interazione tra illuminismo e pittura si colloca fra due date: 1715 (anno in cui morì Luigi XIV) e 1789. Negli altri paesi europei la separazione è meno netta, ma la suddivisione è simile. Sarà il lasso di tempo che percorreremo in questo testo, salvo poche incursioni nel periodo precedente o in quello successivo. Questo breve XVIII secolo sarà caratterizzato in Francia dalla reggenza e dal lungo regno di Luigi XV, un periodo in contrasto con il secolo precedente. Il fulcro della vita pubblica si sposta dalla corte alla città, da un'organizzazione sociale fondata sui principi della religione a uno spazio civile.Nell'Ottocento uno storico della pittura afferma, in maniera forse eccessiva, che si trattava allora di una fase in cui «all'estrema devozione si sarebbe sostituita la licenza».


SVOLTA SULLE ADOZIONI "SÌ AI GENITORI AFFIDATARI ANCHE SE SONO SINGLE"
Maria Novella De Luca - La Repubblica 06/11/2014

I bambini in affido non dovranno più cambiare famiglia. Perché potranno essere adottati anche dagli stessi genitori, (a volte monogenitori) a cui sono stati affidati. Sembrerebbe una cosa naturale ma in Italia non lo è. Fino ad ora infatti non era consentito ad una coppia o ad un single che accoglieva nella sua vita un bambino in affido, e magari lo cresceva per anni e anni, poterne poi diventare genitore a tutti gli effetti. Adozione e affido infatti sono sempre stati nel nostro paese due percorsi radicalmente diversi. Ma un primo sì ieri in commissione Giustizia del Senato sulla riforma della legge attuale, potrebbe cambiare totalmente le cose, aprendo anche, di fatto, un possibilità per l'adozione ai single. E riformando quella controversa norma, secondo la quale anche dopo anni e anni di convivenza armoniosa e di affetto, un bambino o una bambina possano essere tolti ai genitori affidatari, e destinati invece ad una coppia idonea all'adozione.
 

CHI ASPIRA OGGI A DIVENTARE OPERAIO?
Nadia Urbinati – La Repubblica 04/11/2014

LABATTAGLIA sul lavoro che sta dividendo il Pd è più di una contesa sulla rappresentanza politica dei lavoratori. Il 25 ottobre scorso ha messo in scena una spaccatura che è più che politica, e che per questo peserà sui destini del Pd, come ci ha tra l'altro mostrato il sondaggio di Ilvo Diamanti pubblicato domenica scorsa su Repubblica. La contrapposizione tra Landini/Camusso e Renzi, tra Piazza San Giovanni e la Leopolda, mostra una divisone interna alla rappresentazione del lavoro, alla percezione sociale del ruolo e dell'identità dei lavoratori. È l'esito del declino del lavoro industriale che, non va dimenticato, ha marciato insieme al declino della Guerra fredda, alla fine del mondo diviso. La dimensione globale dei mercati e la decadenza del valore sociale del lavoro stanno insieme e si riflettono nella diaspora e trasformazione della sinistra.
 

SULL’HIMALAYA DOVE LO SCONTRO TRA LE MONTAGNE GENERÒ BUDDHA
Piergiorgio Odifreddi – La Repubblica 31/10/2014
 
La montagna, quale luogo di avvicinamento al cielo, è per sua natura un potente simbolo di innalzamento spirituale, e le religioni di ogni tempo e luogo se ne sono appropriate, santificando le vette che avevano a disposizione: il Sinai ebraico, l'Olimpo greco, il Golgota cristiano, il Taishan taoista... Tutte queste alture non paiono però che povere colline di fronte alle cime sacre del monte Kailash o del Nanda Devi, rispettivamente dimora degli dèi induisti e oggettivizzazione di Parvati, moglie di Shiva.
 
 

LUCREZIO ANIMA E CORPO
Piergiorgio Odifreddi – La Repubblica 02/11/2014

OGGI è il 2 novembre, che la Chiesa cattolica dedica alla commemorazione dei defunti. Ed è uno dei pochi momenti in cui la nostra civiltà, che ha fatto il possibile e l'impossibile per rimuovere l'idea della morte, acconsente a guardarla per un attimo in faccia, prima di tornare a rivolgere lo sguardo altrove per il resto del tempo. Il momento è propizio per ricordare che duemila anni fa un poeta latino ha parlato della morte in maniera scientifica e non religiosa, cioè oggettiva e non consolatoria. Stiamo parlando di Lucrezio e del Terzo Libro del suo De rerum natura, La natura delle cose, di cui Federico il Grande diceva: «Lo leggo quando sono afflitto, e lo consiglio come lenimento per le malattie dell'animo». L'antica visione di Lucrezio, così come quella moderna delle neuroscienze, è che l'anima è una funzione del corpo: dunque, non è immortale, e con la morte si dissolve.
Che la morte non è nulla per noi, e non ci riguarda. Che le paure ad essa connesse derivano dall'immaginare il proprio cadavere come se fosse ancora vivo. Che dovremmo andarcene felici di aver vissuto, perché l'inferno è solo una trasposizione letteraria delle pene della vita. E che queste ultime derivano dalvivere meccanicamente e a occhi chiusi. Ricordiamolo il 2 novembre, ma non dimentichiamolo il resto dell'anno.

MODERNITA’. L’EGUAGLIANZA NON E’ PIU’ LA VIRTU’
Marco Revelli – Il fatto quotidiano 30/10/2014

""L’opzione disegualitaria (o, più apertamente, anti-egualitaria) è stata – e in buona misura continua ad essere, anche se più mascherata – parte integrante della dogmatica neoclassica che ha offerto il proprio hardware teorico all’ideologia neoliberista fin dall’origine della sua lotta per l’egemonia, alla fine degli anni Settanta e per tutto il corso degli anni Ottanta del secolo scorso. L’idea che "un eccesso di uguaglianza faccia male all’economia" – o, più esplicitamente che "una buona dose di diseguaglianza faccia bene alla crescita" –, ha alimentato le politiche di deregulation prevalse nell’epicentro anglosassone e affermatesi nel circuito della globalizzazione. Ha motivato la rivoluzione fiscale, che ha drasticamente abbattuto le progressività delle aliquote e frenato le politiche redistributive negli Stati Uniti e in Gran Bretagna; e ha generato le dure conditionalities dei Programmi di aggiustamento strutturale (Structural Adjustment Programs) del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale, fortemente incentrate sulle priorità del taglio della spesa sociale, sulla rimozione del controllo dei prezzi e la riduzione dei sussidi statali, sulla focalizzazione della produzione sulle esportazioni, sulle privatizzazioni e sul perfezionamento dei diritti del capitale d’investimento estero rispetto alle leggi nazionali.
OLTRE, naturalmente, ad aver permeato gli insegnamenti economici impartiti da un numero crescente di cattedre delle più accreditate università, nelle business school, nei think tank e nelle pubblicazioni di un gran numero di fondazioni.
"L’eguaglianza non è più una virtù" potrebbe essere assunto come il motto che ha contraddistinto la massiccia e articolata reazione anti-keynesiana di fine secolo: dopo un cinquantennio nel quale l’eguaglianza, in qualche misura, il valore sociale prevalente – l’"idea regolativa" sulla quale si erano orientate le politiche pubbliche dell’Occidente democratico e le stesse Carte costituzionali dei paesi civili –, si registrava, esplicitamente, un punto di rottura. Una sorta di rovesciamento, che anche là dove l’eguaglianza non veniva identificata come un ostacolo al "progresso economico", la si retrocedeva comunque da valore finale a funzione strumentale. O la si poneva non più come presupposto ma, tutt’al più, come conseguenza dello sviluppo, da perseguire con altri mezzi, compreso quello di un’iniziale opzione disegualitaria.
Lo scenario nel quale quella "rottura" si è prodotta era – lo ricordiamo – segnato da una crisi profonda del modello che aveva caratterizzato la parte centrale del secolo, in particolare il trentennio 1945-1975, definito da Eric Hobsbawm come "l’età dell’oro" del suo "secolo breve " e che i francesi chiamano le "trenta gloriose".
Da un lato la stagflazione – l’intreccio paralizzante di un elevato processo di inflazione e di una altrettanto grave stagnazione – si presentava come un male economico refrattario alle tradizionali politiche anticicliche e offriva l’immagine di un punto di arresto o comunque di un tetto raggiunto dallo sviluppo difficilmente superabile con i mezzi tradizionali.
Dall’altro lato, la cosiddetta "crisi fiscale dello Stato" – caratterizzata da un emergente debito pubblico pur in presenza di una pressione fiscale ai propri massimi – limitava i margini d’intervento delle autorità politiche e delle agenzie pubbliche, lasciando intravvedere nell’insostenibile carico fiscale il principale ostacolo alla ripresa della crescita nei paesi a capitalismo maturo. Per parte sua, la globalizzazione incipiente lasciava intravvedere la possibilità di un’espansione esogena della domanda, grazie all’ampliamento e all’integrazione dei mercati su scala planetaria. Non stupisce che in un simile contesto si sia strutturato, e sia diventato rapidamente egemone, un paradigma socio-economico orientato alla rottura di tutti i precedenti compromessi sociali – quelli che, fino ad allora, avevano contribuito a formare l’idea prevalente di "società giusta" e che ora apparivano responsabili dell’insopportabile overload delle finanze pubbliche – e basato su una rinnovata centralità del mercato e sulla prospettiva di uno sviluppo trainato prioritariamente dall’offerta (supply-side) – in contrapposizione alle teorie keynesiane che si focalizzavano sulla domanda aggregata (demand-side) – nonché sull’effetto incentivo di una minore tassazione per la formazione di capitali disponibili all’investimento pubblico.""
UN PARADIGMA, possiamo aggiungere, nel quale i grandi temi che avevano segnato il lungo ciclo precedente – la questione della piena occupazione, da un lato, e quella della povertà, dell’altro – finivano per assumere una posizione secondaria (così è per le politiche di contrasto alla povertà, ridimensionate con l’argomento dell’"azzardo morale") o addirittura alternativa (un certo tasso di disoccupazione poteva essere considerato funzionale all’abbassamento del costo del lavoro). Un paradigma, appunto, nel quale l’ineguaglianza cessava di essere considerata un vizio per trasformarsi, entro certi limiti, in risorsa.""

L'AMACA
Michele Serra – La Repubblica 29/10/2014

UN QUARTO delle case italiane è disabitato, ma la superficie cementificata (secondo i dati del censimento 2011) è raddoppiata negli ultimi vent'anni. La produzione di cibo mondiale sarebbe in grado di sfamare dodici miliardi di persone (stima Fao), ma circa un miliardo degli attuali viventi patisce la fame, e secondo alcune stime non viene consumato circa il quaranta per cento del cibo disponibile. È dunque la cattiva o maldestra o iniqua gestione di ciò che abbiamo, a doverci preoccupare; non la quantità insufficiente di beni, ma la qualità scadente della loro distribuzione e — soprattutto — della distribuzione del potere d'acquisto tra gli umani. Nel mondo non si muore di fame perché non c'è cibo a sufficienza, ma perché mancano i soldi per comperarlo. In Italia non si è senza casa perché non ci sono case, ma perché ai proprietari conviene tenerle sfitte, o sono troppo brutte e deteriorate, o troppo care per chi le cerca. Bisognerebbe dirlo in modo meno schematico: ma ogni discorso che enfatizza la quantità (più cemento, più cibo per ettaro, più consumo dei suoli) odora di vecchio e/o di speculazione; ogni discorso sulla qualità è vitale, socialmente generoso, culturalmente nuovo. Di questo scontro epocale tra quantità mitizzata e qualità trascurata la politica discute pochissimo. Anche per questo è sempre meno appassionante.

L'AMACA
Michele Serra – La Repubblica 28/10/2014

DICE papa Francesco che la teoria del Big Bang non contraddice affatto l'idea della Creazione. È la conferma, ennesima, della sua generosa, dinamica visione intellettuale. Il problema, però, è spiegare a legioni di esseri umani, specie quelli di fede veterotestamentaria, che ci sono più o meno quattro miliardi di anni di differenza tra il supposto Big Bang individuato dalla scienza e la supposta creazione del mondo secondo il Libro. In quei miliardi di anni, che i fossili certificano implacabili ma la Bibbia — per forza di cose — ignorava, come hanno passato il loro tempo la roccia, l'acqua, il protozoo, il pesce, il ragno, la felce, l'albero, buon ultimo l'uomo, insomma le creature? Passare dalla certezza del dogma all'accettazione dell'ignoto può essere dolorosissimo. I creazionisti americani lottano perché l'evoluzionismo "blasfemo" non sia insegnato nelle scuole, e l'idea che il mondo, completo di ogni accessorio, sia nato tutto insieme grazie a uno "snap" delle dita di un demiurgo, è molto più diffusa di quanto pensiamo. Il mistero terrorizza, la certezza conforta. Per consolarci riascoltiamo (papa Francesco la apprezzerà di certo) l'ottima parodia del creazionismo offerta nella "Genesi" di Francesco Guccini: «C'era un vecchio con la barba bianca, lui e la sua barba, il resto era vuoto».

SE IL PAPA AMA IL DIALOGO VERO PIÙ DELLA VERITÀ
Zygmunt Bauman – La Repubblica 21/10/2014

MACIEJ Zieba adopera il concetto di "società veritale" per significare quella forma di coesistenza umana in cui «l'intera vita individuale, dalla culla alla tomba, così come la vita collettiva» sono imperniate su «una verità trascendente universalmente riconosciuta». E per chiarire che forma ha in mente, Zieba si affretta ad aggiungere che «questo vale non solo per gli Aztechi e i Masai ma anche per i seguaci di Marx e Mao, e per chi nutre una fiducia acritica e quasi-religiosa nella fisica e nella genetica». Aggiungerei i credenti quasi religiosi nel Pil, nel commercio, nell'informatica. In tutti questi casi la divinità è una; questo tratto comune relega ai margini le differenze tra un caso e un altro.

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SE LO ZINGARO DIVENTA UN CAPRO ESPIATORIO
Chiara Saraceno - La Repubblica.it Archivio 01/10/2014

GLI zingari che rubano i bambini. Uno stereotipo tanto radicato e diffuso quanto privo di ogni fondamento, di ogni evidenza empirica e persino di ogni plausibile spiegazione. Perché mai gli zingari dovrebbero rubare i bambini, infatti, come se non ne avessero abbastanza dei loro? Eppure, sembra essere la prima cosa che viene in mente, che viene ritenuta plausibile, non solo quando un bambino, effettivamente, sparisce, ma anche quando un bambino della comunità zingara è troppo biondo e chiaro di pelle "per essere davvero figlio loro", scatenando ipotesi fantasiose di rapimento.


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L'ARTICOLO 18 CHE DIVIDE LA SINISTRA

Nadia Urbinati - La Repubblica.it Archivio 01/10/2014

SE IL Pd é riuscito a trovare una qualche unità sui temi della riforma costituzionale, sembra invece molto più diviso sul tema del lavoro; e la decisione della sua direzione nazionale lo conferma. Non vi é di che stupirsi. La Sinistra é nata in occidente insieme al lavoro salariato, per rappresentarne le esigenze e però anche le potenzialità di trasformazione sociale.

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SIAMO IN FONDO ALLA CLASSIFICA PER L'INDICE DI GIUSTIZIA SOCIALE
Andrea Tarquini  – La Repubblica 16/09/2014

In Italia le misure d'austerità imposte dagli imperativi di risanamento dei conti sovrani e di salvataggio dell'euro hanno pesantemente aggravato le disuguaglianze sociali e le ingiustizie e raddoppiato il numero dei poveri: il 12,4 per cento del totale della popolazione. E quanto a inclusione sociale, cioè alla capacità di inserire le persone nella vita sociale e lavorativa normale, il nostro paese è sceso al ventiquattresimo posto sui ventotto paesi dell'Unione europea. Soltanto l'Ungheria dell'autoritarismo nazionalista del premier Viktor Orbàn, la Romania, la Bulgaria (cioè il più povero dei paesi dell'Unione europea) e la Grecia stremata dall'iperindebitamento e dalle draconiane misure di rigore imposte dalla Troika, stanno peggio di noi.


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IL VALORE DELLA DIGNITÀ QUELLA FRAGILE BARRIERA CONTRO LA BARBARIE
Gustavo Zagrebelsky  – La Repubblica 12/09/2014

Lo spirito del nostro tempo è orientato alla dignità, come un tempo lo fu alla libertà, all'uguaglianza davanti alla legge, alla giustizia sociale. Tutti s'ispirano, o dicono d'ispirarsi, alla dignità degli esseri umani, soprattutto dopo lo scempio che ne hanno fatto i regimi totalitari del secolo scorso. Tutto bene, allora? Finalmente un concetto e una concezione dell'essere umano – un'antropologia – in cui si esprime un valore sul quale tutti non possiamo che concordare? Un pilastro sul quale un mondo nuovo può essere costruito? Cerchiamo di darci una risposta, lasciando da parte le buone intenzioni, le illusioni.


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PERCHÉ QUELLA RIFORMA NON MI PIACE
Elena Cattaneo  – La Repubblica 09/09/2014

CARO direttore, in Italia è difficile affrontare le questioni e discuterle usando i dati e gli strumenti migliori che le esperienze del passato e le conoscenze del presente mettono a disposizione. In altre parole, sembra che cercare di illustrare fatti provati faccia scattare in una buona parte della politica la messa in discussione — a volte anche livorosa e irrazionale — dell'utilità e del valore delle competenze, o di una conoscenza e uso dei fatti. Da qualsiasi parte arrivino. E queste modalità si perpetuano su molti argomenti trattati.


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LA COSTITUZIONE E IL GOVERNO STILE EXECUTIVE
Gustavo Zagrebelsky – La Repubblica.it Archivio 06/08/2014

DEL Senato della nuova era, tutto il dicibile è stato detto e ridetto. Ora non si tratta più d'idee, ma di numeri, di patti misteriosi che "tengono" o "non tengono", di "aperture" o "chiusure", cioè di strategie politiche. Interessa, invece, lo sfondo: ciò che crediamo di comprendere della nostra crisi e delle sue forme. Che valore hanno il tanto pervicace impegno per "le riforme" costituzionali e l'altrettanto pervicace impegno contro? Pro e contra, innovatori e conservatori. I pro accusano i contra di non voler assumersi le responsabilità del cambiamento che il momento richiede e di difendere rendite di posizione dissimulandole come difesa della Costituzione. I contra, a loro volta, accusano i pro di coltivare la vacua ideologia del nuovo e del fare a ogni costo, in realtà servendo interessi ai quali ostica è la democrazia. Le ragioni della divisione sono profonde, spiegano l'asprezza del contrasto e giustificano le preoccupazioni.


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ZYGMUNT BAUMAN: HAMAS E NETANYAHU PENSANO SOLO ALLA VENDETTA
AntonellaGuerrera intervista Zigmunt Bauman – La Repubblica 05/08/2014

"Ciò a cui stiamo assistendo oggi è uno spettacolo triste: i discendenti delle vittime dei ghetti nazisti cercano di trasformare la striscia di Gaza in un altro ghetto ". A dirlo non è un palestinese furioso, ma Zygmunt Bauman, uno dei massimi intellettuali contemporanei, di famiglia ebraica e sfuggito all’Olocausto ordito da Hitler grazie a una tempestiva fuga in Urss nel 1939. Bauman ha 88 anni, suo padre era un granitico sionista e negli anni ha sviscerato come pochi l’aberrazione e le conseguenze della Shoah. Sinora il grande studioso polacco non si era voluto esprimere pubblicamente sulla recrudescenza dell’abissale conflitto israelo-palestinese. Ora però, dopo aver accennato alla questione qualche giorno fa al Futura Festival di Civitanova Marche in un incontro organizzato da Massimo Arcangeli, Bauman confessa la sua amarezza in quest’intervista a Repubblica.

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UNA VOCE EUROPEA NELLE CRISI DEL MONDO
Lucio Caracciolo – La Repubblica.it Archivio 05/08/2014

LA CRISI ucraina è sfuggita di mano ai suoi ideatori. Nelle intenzioni di Obama, scopo del cambio della guardia a Kiev era " to keep Putin honest": ricordare al capo della Russia quale fosse il suo posto, dopo che su troppi dossier — Egitto, Siria, Snowden — si era preso libertà eccessive. Colto di sorpresa dalla fuga di Janukovich, il leader del Cremlino aveva prima cercato di limitare la sconfitta rimettendo le mani sulla Crimea, eccitando il parossismo iperpatriottico che sempre anima i russi quando si sentono aggrediti e alimentando la guerriglia separatista nell'Ucraina dell'Est per arrivare a un compromesso accettabile con Poroshenko. Sia Obama che Putin hanno perso il controllo dei rispettivi agenti in Ucraina, attenti ai propri interessi prima che a quelli dei loro presunti ma- novratori. Washington e Mosca rischiano ora la collisione frontale.


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LA DEMOCRAZIA PER CASO
Ilvo Diamanti – La Repubblica.it Politica 04/08/2014

PER definire il disegno di riforma istituzionale avviato dal governo, si parla apertamente di deriva autoritaria. O di attentato golpista alla Costituzione. Mentre Matteo Renzi viene, per questo, descritto come un Pinochet. Un Piccolo Dittatore.

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IL CORAGGIO DI CAMBIARE: IL NUOVO URUGUAY DI PEPE MUJICA
Giacomo Russo Spena – MicroMega online 03/08/2014

Un libro ricostruisce la storia del "Presidente Impossibile", da guerrigliero tupamoros a Capo dello Stato. Stile di vita sobrio, si definisce socialista e libertario e sta trasformando il Paese legiferando soprattutto sui diritti civili: un laboratorio interessante – come un po’ tutta l’America Latina – da studiare e analizzare.

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IRRIVERENZA
Lidia Menapace Italia Laica 31.07.2014

Poiché questa favoletta seguita a girarmi in testa, la scrivo, pur sapendo che è irriverente e chiedendo scusa in anticipo a chi se ne sentirà colpito.
Dunque, i e le seguaci di ogni dio unico, cioè coloro che si considerano appartenenti a una delle tre religioni monoteiste, tra di loro si sono trattati  nei secoli in molti modi non generalmente urbani, tra guerre sante crociate e inquisizioni non c'è che l'imbarazzo della scelta. Per fortuna -dico- , ringraziando la provvidenza (dicono i fedeli) e anche un po' la Rivoluzione francese (sia pure con anche tutti i suoi eccessi ghigliottineschi e bellicisti e patriarcali, ma certo)  oggi ufficialmente quei seguaci un tempo acerbi nemici armati, si ritrovano al massimo livello di rappresentanza (per cui di solito non c'é tra loro nemmeno mezza donna) e si scambiano riconoscimenti e complimenti, pregano insieme, e mandano messaggi al mondo chiedendo pace e magari anche giustizia. Benissimo, prendo atto del cambiamento, anche se osservo  sarcasticamente  che, almeno in parte tutto questo uso di solennissimi salamelecchi, dipende anche dal disinteresse verso le religioni, che  è in grande aumento e suggerisce di non  dividersi, ma di fare per quanto possibile "fronte comune".
Benissimo, ma immaginando che i tre dei unici si incontrino, che si diranno? Dall'alto della sua ben più antica storicità il dio dell'Antico testamento guarderà gli altri due con alterigia, poi insieme col secondo unico dio , quello cristiano, si rivolgeranno al terzo dio unico, chiamandolo  giovanotto di belle speranze e capriccioso?  Oppure faranno finta di non conoscersi e ciascuno di loro seguiterà a proclamarsi unico solo e vero? infatti chi è unico, come può avere dei pari? Insomma mi piacerebbe che qualcuno scrivesse un piccolo  testo teatrale da leggere in pubblico: dite che è troppo? che è offensivo?
Ma allora che dire delle processioni che fanno inchinare la statua della Madonna (una specie di dea) davanti alla casa del capomafia? o della tomba di padre Pio, santo idolatrato e oggetto di un culto palesemente superstizioso e causa di enormi sprechi per  costruirgli appunto una tomba meta di pellegrinaggi ben più di quella di papa Giovanni?
Mi fermo altrimenti esagero ciao, lidia

IL PARROCO DI BIBIANA IMPEDISCE L’APERTURA DELL’ASILO COMUNALE
Dal sito della Consulta torinese per la laicità delle Istituzioni 02/08/2014

La Consulta Torinese per la Laicità delle Istituzioni richiama l’attenzione di tutti i cittadini e delle istituzioni pubbliche sulla scandalosa vicenda che è emersa alla cronaca di questi ultimi giorni relativamente alla scuola dell’infanzia comunale di Bibiana (TO) che non può essere aperta per un veto del Parroco del paese.


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LA RICERCA DELLE RADICI
Maria Novella De Luca – La Repubblica.it Archivio 31/07/2014

LA RICERCA delle radici. L'albero da cui si proviene, nel nome del padre, ma soprattutto della madre. Quali sono i diritti di un figlio adottato, o nato da una fecondazione eterologa, di conoscere la propria origine? Ed è giusto che l'anonimato di una "madre segreta" o di un donatore di gameti venga svelato per rispondere al bisogno di un figlio o di una figlia di riallacciare i legami di una storia interrotta? C'è un filo rosso che in questa estate mutevole congiunge tre fatti, sui quali in autunno il Parlamento sarà chiamato (non senza difficoltà) a scrivere o a riscrivere norme. E per tutte e tre le questioni il concetto contestato, auspicato o controverso è "l'anonimato".

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SE LA STORIA FAMILIARE DIVENTA UN DILEMMA ETICO
Michela Marzano – La Repubblica.it Archivio 31/07/2014

DA DOVE vengo? Chi sono? Domande come queste, prima o poi, ce le poniamo tutti. Perché nessuno di noi sa esattamente chi sia. Anche quando di certezze ce ne sono tante. E fin da piccoli, parenti e amici non hanno fatto altro che ripeterci quanto somigliavamo alla nonna o alla zia, e quanto il nostro sorriso o i nostri occhi fossero come quelli di papà o di mamma. Figuriamoci allora che cosa può accadere a chi, adottato o nato grazie ad una fecondazione eterologa, di certezze ne ha molte meno. E talvolta deve fare i conti, fin da piccolo, con segreti e bugie. I propri genitori sono papà e mamma, certo. Ma che cosa è accaduto prima? Quale Dna si portano dentro?


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L'AMACA
Michele Serra – La Repubblica.it Archivio 30/07/2014

S ANTI e Madonne hanno sempre reso omaggio ai boss (e viceversa). La novità è che qualcuno, finalmente, ci fa caso e ci rimane male, e bastano un paio di telefonini occasionalmente non dediti al selfie per documentare gli inchini di vicolo e di contrada, come un paio di settimane fa in Calabria e ieri l'altro a Palermo. Va detto che anche la più severa delle religioni ha qualche difficoltà a selezionare i suoi fedeli. Alle funzioni e ai riti di ogni epoca e latitudine hanno certamente assistito notevoli mascalzoni. Gesù cacciò dal tempio non i delinquenti, ma i mercanti (anche se migliaia di preti, imam, rabbini, addetti ai lavori li hanno sempre fatti rientrare dalla porta di servizio, purché versassero il loro obolo). E non c'è religioso o missionario che lavori nelle carceri e nel degrado sociale che non sappia raccontare quanto abbiano bisogno, i criminali, del conforto della religione. Se quegli inchini danno fastidio, dunque, non è perché includono nella comunità il delinquente. È perché rendono omaggio al potente. Quelle statue non si chinano pietosamente su chi ha sbagliato, ha peccato, ha fatto del male. Si inchinano con reverenza a un padrone. E una religione vassalla della gerarchia sociale, serva dei forti, è solo una inutile mascherata al servizio dei prepotenti e nemica della libertà.

NON SCHERZATE COL FUOCO I DIRITTI VANNO DIFESI E MOLTO RESTA DA FARE
Nadia Urbinati – La Repubblica.it Archivio 26/07/2014

NON da oggi, la diaspora è una caratteristica dei movimenti di emancipazione soprattutto quando le loro lotte hanno registrato successi. «Il femminismo non serve più», è «una cultura tossica», dicono le giovanissime che hanno dato vita a Women Against Feminism . Vogliono essere «individui e basta ». Possono dirlo perché c'è stato il femminismo e i giudici e le corti sono molto sensibili ai temi della discriminazione di genere. Per questo nelle facoltà di legge le diplomate hanno sorpassato i diplomati.
È comprensibile che le ragazze sentano insopportabile il peso della differenza; ma c'è il rischio che anche qui succeda quel che è successo per le classi lavoratrici, che hanno visto cancellati i diritti di tutela del lavoro in cambio di nulla. Si può capire il senso di liberazione che hanno le giovani ribelli quando dicono di potersela cavare da sole. Ma la recrudescenza della lotta sociale dovrebbero far pensare che i diritti non sopravvivono da soli, senza la loro sorveglianza. E poi, le cose non vanno proprio così bene: spesso gli stipendi delle donne sono a uguale produttività meno alti di quelli dei colleghi maschi, e la presenza femminile diminuisce più si sale la scala gerarchica. Non scherziamo col fuoco care ragazze: quando si tratta di combattere per una carriera mai acquisita, di contrattare un tempo di lavoro più elastico per chi voglia godere della libertà di fare figli, la legittima volontà di essere eguali si scontra con una realtà recalcitrante all'eguale opportunità. Siamo proprio certe che «amo cucinare per il mio uomo e pulire la casa» non si riveli una trappola mortale per cui, oltre alle pentole e all'aspirapolvere resta molto poco e quel che resta ha anche minor valore sul mercato?

LE CONTRADDIZIONI DELLA SCUOLA PARITARIA

Nadia Urbinati – La Repubblica.it Archivio 22/07/2014

LA VICENDA dell'insegnante messa sotto inchiesta dalla madre superiora di una scuola privata di orientamento cattolico e parificata non ha dell'incredibile. È incredibile che ci si stupisca e si continui a sostenere — come da anni si fa — che la scuola pubblica comprende sia le scuole statali sia quelle private parificate. Il pubblico è uno, dicono i sostenitori del finanziamento pubblico alle scuole private per raggirare l'Art. 33 della Costituzione che afferma chiaramente essere le scuole private libere e "senza oneri per lo Stato". I retori che non vedono di buon occhio questa norma hanno sofisticamente ridefinito il pubblico e... abracadabra, ecco che tutte le scuole paritarie sono pubbliche come quelle statali!


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QUEI PICCOLI CORPI SULLA SABBIA DI UNA PRIGIONE A CIELO APERTO
Adriano Sofri  – La Repubblica.it Archivio 17/07/2014

PER il modo in cui il colpo ha schiacciato il viso nella sabbia sporca, ha invertito il sopra e il sotto, il davanti e il di dietro degli arti. Si sceglierà di non pubblicarla quella foto, di sostituirle un'altra, che mostri quello che è accaduto, e però si tenga un passo di qua dal troppo orrore. Ci si interrogherà anche su come sia stata scattata, sul fondale di spiaggia vuota, prima dell'impulso a correre a toccarlo, ricomporlo, sollevarlo.
Su tutto ci si interroga in questa quarta guerra di Gaza, una specie di Biennale dell'odio e del furore. Sulle fotografie falsificate, sulla provenienza dei proiettili, sulle intenzioni reciproche. Ci si interroga su tutto perché niente ha senso.


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"IL CERVELLO ARTIFICIALE È UNO SPRECO DI SOLDI" SCIENZIATI IN RIVOLTA CONTRO IL PROGETTO UE

Silvia Bencivelli – La Repubblica.it Archivio 14/07/2014

PIÙ di un miliardo di euro pubblici per la ricerca sul cervello. E seicento scienziati che protestano, chiedendo di bloccare il finanziamento. Non è il mondo capovolto: è quello che sta realmente succedendo in questi giorni nei laboratori europei. Pomo della discordia è il mastodontico Human Brain Project: un progetto in cui sono coinvolte più di cento istituzioni scientifiche di ventiquattro paesi, che ha lo scopo di costruire un computer capace di simulare il funzionamento del cervello umano. In realtà sarebbe un'idea ambiziosa, prematura e disorganizzata, secondo i ricercatori di mezza Europa, che rischia di farci sprecare i pochi soldi che destiniamo alla scienza. Per questo oggi chiedono di bloccare tutto.

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UNA POLITICA PER I POVERI

Chiara Saraceno – La Repubblica.it Archivio 12/07/2014

NEGLI anni della crisi il numero di coloro che si trovano in condizione di povertà assoluta, cioè impossibilitati a sostenere le spese necessarie alla sussistenza materiale, è raddoppiato, passando da 2,4 milioni di persone nel 2007 a 4,8 milioni nel 2012 (e non ci sono indicazioni tali da far ritenere che nel 2013 le cose siano andate meglio). Benché le differenze territoriali si siano ulteriormente allargate, con il Mezzogiorno sempre più impoverito, la povertà morde anche nel Centro-Nord.


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LA SPIRALE INFINITA NEL CAOS MEDIORIENTALE
Perché il copione questa volta non potrà ripetersi

Lucio Caracciolo – La Repubblica.it Archivio 10/07/2014

PARREBBE la solita storia. Hamas provoca, Israele risponde. Fitti lanci di razzi palestinesi da Gaza dapprima contro località israeliane di confine, poi verso le principali città, Gerusalemme e Tel Aviv incluse; aerei con la stella di Davide a sganciare missili "intelligenti" su Gaza, che producono decine di vittime civili; segue spedizione punitiva di Tsahal, stivali per terra nella Striscia.
SALVO rientro alle basi entro un paio di settimane. Tutti pronti a ricominciare dopo congruo intervallo.
Ma lo scontro in corso è davvero una replica del tragico refrain scritto dai protagonisti fin dalla crisi del dicembre 2008? Non proprio. È cambiato il contesto.


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LA FORMULA DELLA DISUGUAGLIANZA

Moisè Naim – La Repubblica.it Archivio 10/07/2014

DI CHI è la colpa dell'eccezionale crescita della disuguaglianza negli ultimi anni? Dei banchieri, sostengono in tanti. Secondo questa visione, il settore finanziario è colpevole di aver innescato la crisi economica globale che è cominciata nel 2008 e ancora fa sentire i suoi effetti su milioni di famiglie di classe media in Europa e negli Stati Uniti, che hanno visto diminuire il potere d'acquisto e assottigliarsi le prospettive di impiego. Lo sdegno è amplificato dal fatto che non solo i banchieri e gli speculatori finanziari non hanno pagato il prezzo dei loro clamorosi errori, ma in molti casi sono addirittura più ricchi rispetto a prima del disastro.


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PERCHÉ SIAMO IL PAESE DELL'INCULTURA SCIENTIFICA

Carlo Rovelli – La Repubblica.it Archivio 09/07/2014

PENSO che la scuola italiana sia fra le migliori del mondo. Paradossalmente, penso lo sia soprattutto per chi vuole dedicarsi alla scienza, come ho fatto io. Non per caso giovani italiani brillano in tutti i migliori centri di ricerca del mondo. Hanno qualcosa che altri paesi fanno fatica a offrire: non solo fantasia e creatività, ma soprattutto un'ampia, solida e profonda cultura. Sono convinto che studiare Alceo, Kant e Michelangelo offra a uno scienziato strumenti di pensiero più acuminati che non passare ore a calcolare integrali, come fanno i ragazzi delle scuole d'élite di Parigi. Sapere, conoscenza, intelligenza, formano un vasto complesso dove ogni parte si nutre di ogni altra. La nostra intelligenza del mondo si basa su tutto ciò insieme. Questo insieme è la cultura. Non voglio dire che per fare buona scienza sia strettamente necessario avere tradotto versi di Omero dal greco, o leggere Shakespeare, però penso che aiuti molto. Mi sono trovato spesso a lavorare con colleghi di formazione assai diversa.


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LA VOCE CONTRO LA RIABILITAZIONE DI SPINOZA
Piergiorgio odifreddi – La Repubblica.it Archivio 06/07/2014

STEVEN Nadler è uno storico della filosofia americano, specialista di Spinoza e autore di una trilogia su di lui: Baruch Spinoza e l'Olanda del Seicento , Un libro forgiato all'inferno: lo scandaloso Trattato di Spinoza e L'eresia di Spinoza ( Einaudi). Recentemente, sul forum di filosofia The Stone Nadler è stato protagonista di un dibattito che ha fatto discutere, a proposito delle condanne subite nel 1633 da Galileo in Italia, e nel 1656 da Spinoza in Olanda. Fu l'Inquisizione a processare Galileo, per le sue idee contrarie alla dottrina cattolica, dall'eliocentrismo all'atomismo. E fu la comunità ebraica di Amsterdam a bandire il filosofo, per le sue idee contrarie alla dottrina biblica, dalla negazione dell'ispirazione divina delle Scritture al rifiuto del valore etico dell'ebraismo. Dopo quattro secoli, la Chiesa di Roma ha parzialmente riabilitato Galileo, e la comunità ebraica di Amsterdam si domanda se riabilitare Spinoza. Interpellato come esperto, Nadler ha preso posizione contro la riabilitazione di Spinoza. Non perché d'accordo con il reazionario editto del passato, ma perché Spinoza stesso non avrebbe voluto aver niente a che fare con la comunità da cui si era coraggiosamente staccato. Sia Galileo che Spinoza hanno aperto le strade alla modernità: non sono loro a dover esser riabilitati, ma coloro che li hanno condannati a poter essere perdonati.

POST, IBRIDA O IN CRISI COSÌ SI TRASFORMA UNA DEMOCRAZIA
Giulio Azzolini – La Repubblica.it Archivio 04/07/2014

DIECI anni fa Colin Crouch le aveva anteposto un enigmatico prefisso: "post—". Nel 2006, alle soglie del collasso di Wall Street, Pierre Rosanvallon condensava la sua atmosfera in una parola, "sfiducia". E cinque anni dopo, con l'Europa in recessione e l'Italia soffocata dallo spread, Carlo Galli segnalava il suo "disagio", mentre Alfio Mastropaolo si chiedeva se non fosse una "causa persa". Il dibattito politologico sulla democrazia nel ventunesimo secolo ha finito per aggrovigliarsi sempre di più intorno alla "crisi della democrazia". Non a torto, considerato l'aumento delle proteste, del non voto e del voto di protesta. Quattro libri usciti da poco in Italia, però, testimoniano una svolta meno pessimista e focalizzata non già sulla nozione di crisi ma piuttosto su quella di trasformazione. Ecco il denominatore comune di volumi peraltro diversi, come quelli di Nadia Urbinati, Ilvo Diamanti, Leonardo Morlino e Stefano Petrucciani. Teoria, sociologia, scienza e filosofia politiche alleate nel tentativo di cogliere con precisione tanto i meccanismi e i processi empirici che incidono sulle performance democratiche quanto i criteri teorici che distinguono la trasformazione della democrazia dalla sua deformazione.


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CONOSCERE  LA MUSICA  PER ESSERE  PIÙ   LIBERI
Giulio Giorello – Corriere della sera 04/07/2014

La musica è «arte da abolire come fonte di liberazione e libertà» e per questo «pericolosa per lo Stato», scriveva nel Seicento l?inglese Thomas Hobbes, teorico dell’assolutismo. Ma se avesse avuto ragione l?ebreo di Amsterdam Baruch Spinoza, nel sostenere che l?unica giustificazione dello Stato è la difesa della libertà dei cittadini, a quell?arte spetterebbe un ruolo centrale nella formazione delle giovani generazioni. Le pagine riguardanti l?educazione musicale nella scuola primaria e secondaria sono tra le più appassionate del volume che Luigi Berlinguer ha dedicato al rinnovamento della didattica: Ri-creazione , scritto con Carla Guetti (Liguori, pagine XIV-229, e 19,90).

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CHIARA SARACENO: «MANCANO POLITICHE SOCIALI PER SOSTENERE LE LAVORATRICI»
Chiara Saraceno – L’Unità 02/07/2014

«Di fronte ai costi di certi servizi, come gli asili privati, tante mamme decidono di stare a casa Una tendenza da invertire»

«Da un lato c’è questo dato allarmante commenta la sociologa Chiara Saraceno -, ennesimo effetto della crisi, con la disoccupazione femminile che torna ad aumentare ben di più di quella maschile. Dall’altro c’è l’evidenza di un problema cronico, per risolvere il quale non può bastare la capacità delle donne, per quanto ammirevole, di organizzarsi, di cercare di conciliare la famiglia con l’attività lavorativa».


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LE NUOVE GEOMETRIE DELLE DISUGUAGLIANZE
Chiara Saraceno – La Repubblica.it Archivio 29/06/2014

UN BENESSERE fragile, poco equo, perciò difficilmente sostenibile. È il quadro che emerge dal secondo rapporto, appunto, sul Benessere equo e sostenibile preparato dall'Istat e dal Cnel sulla base di 134 indicatori distribuiti su 12 aree rilevanti per il benessere degli individui e la tenuta della società. È un benessere fragile, non solo perché non si vede ancora la fine della crisi, l'occupazione continua a diminuire e la povertà, specie tra i minori, i giovani e le loro famiglie tende ad aumentare. Anche i miglioramenti che pure ci sono stati, ad esempio sul piano dell'istruzione, con l'aumento dei diplomati e laureati, o nell'utilizzo delle nuove tecnologie, sono insieme troppo lenti per colmare il gap con gli altri paesi europei, che anzi continua ad allargarsi, e non sostenuti da investimenti in ricerca e innovazione che consentano di valorizzarli. È un benessere poco equo perché la crisi ha rafforzato le disuguaglianze tradizionali nel nostro paese — a livello territoriale e di classi sociali — e ne ha create di nuove.

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QUEI TURISTI PER MOTIVI DI FAMIGLIA
Chiara Saraceno – La Repubblica.it Archivio 25/06/2014

NEGLI anni Sessanta e Settanta si andava all'estero per abortire. Ora si va all'estero per effettuare la riproduzione assistita con donatore o donatrice — che fino a poche settimane fa era proibita in Italia anche alle coppie ed ora continua ad esserlo alle donne sole — o per fare un Pacs o un matrimonio con una persona dello stesso sesso, o per avere un figlio con la mediazione di una donna che accetta di fare da gestante. Ci si va anche per ottenere un divorzio in tempi più brevi (cinque anni in media, secondo gli ultimi dati Istat) e con costi inferiori a quelli richiesti dalla macchinosa e punitiva legge italiana.


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GLI EFFETTI COLLATERALI DELLA CORRUZIONE
Nadia Urbinati – La Repubblica.it Archivio 12/06/2014

LACORRUZIONE rende più poveri e meno liberi, e mina gravemente la reputazione del paese. Queste conseguenze collaterali tendono a essere oscurate dal fatto criminoso del quale danno conto quotidiano le cronache. Eppure, la ricaduta della corruzione sulla vita di tutti noi è un fattore sociale sul quale occorre concentrarsi con più insistenza se si vuole andare oltre la requisitoria morale. La corruzione danneggia tutti ed è nel nostro interesse prevenirla, svelarla e combatterla. L’esito di un sistema di corruzione non è infatti solo l’abuso di risorse pubbliche che potrebbero essere impiegate per il bene della comunità. È anche un’oggettiva condizione di privilegio e di dominio di cui gode chi usa metodi illeciti.


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CHE COSA ALIMENTA LA DISOCCUPAZIONE
Luciano Gallino – La Repubblica.it Archivio 10/06/2014

NON è affatto vero che lo Stato spende troppo e bisogna quindi tagliarne le spese per tornare sul terreno virtuoso dello sviluppo. È vero invece che lo Stato spende troppo poco rispetto a quanto incassa, venendo così a mancare all’impegno di restituire ai cittadini le risorse che da loro riceve. Il danno maggiore questo squilibrio lo reca all’occupazione. Di fatto, da quasi due decenni la disoccupazione è spinta in alto dal fatto che lo Stato preleva ogni anno dal reddito degli italiani decine di miliardi in più di quanti non ne restituisca loro in forma di beni e servizi, mentre per lo stesso motivo l’economia è spinta in basso.


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"A ORSONI SERVIVA IL VOTO DEI CATTOLICI" LA PISTA DEI FONDI NERI DIROTTATI SULLA CURIA
Corrado Zunino – La Repubblica.it Archivio 09/06/2014

I 450mila euro che il supremo tessitore Giovanni Mazzacurati sostiene di aver dato al sindaco (in uscita) di Venezia, Giorgio Orsoni, avrebbero alimentato il voto cattolico alla vigilia delle elezioni amministrative del 2010. Gli investigatori stanno trovando le prime conferme a questa pista giudiziaria. Orsoni, agli arresti domiciliari nella sua casa veneziana "alla fermata del vaporetto di San Silvestro", nega di aver ricevuto i 450 mila euro in nero, ammette solo i finanziamenti registrati (110 mila). Alle parole dell’accusatore Mazzacurati si sono aggiunte nel tempo, però, due conferme: la testimonianza a verbale di Piergiorgio Baita, già amministratore della Mantovani spa, capofila del Conzorzio Venezia Nuova guidato proprio da Mazzacurati, e quella di Federico Sutto, uno dei due cassieri del consorzio.

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UNA PROPOSTA PER IL SENATO
Stefano Rodotà – La Repubblica.it Archivio 07/06/2014

VI è un confortante dato di realtà che non dovrebbe essere trascurato da chi ancora ritiene che una riforma costituzionale sia cosa seria e impegnativa, dunque l’opposto di un uso congiunturale delle istituzioni. Lo spirito critico con il quale sono state valutate le proposte del Governo, che qualcuno aveva respinto come una indebita intromissione accademica nell’orto chiuso della politica, ha prodotto un frutto inatteso: una discussione diffusa, non riducibile a opinioni di parte, grazie alla quale si sono accumulati materiali che mostrano vie percorribili da ogni innovatore fedele ai principi della democrazia. Il tempo delle riforme costituzionali ha una sua caratteristica propria.

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CORRUZIONE
L’Amaca di Michele Serra – La Repubblica 06/06/2014

C OME è normale che sia, nelle conversazioni sulla retata veneziana la parte del leone la fa, anche per la sua solenne rotondità, quel milione all’anno di "vitalizio" che, secondo l’accusa, spetterebbe all’ex governatore Galan. La cifra è circa cinque volte il reddito annuale di un professionista di successo, circa dieci volte lo stipendio di un dirigente d’azienda e circa quaranta volte il salario di un operaio (un milione di euro equivalgono, in pratica, a una vita operaia). Che tutti quei quattrini — se la circostanza sarà provata — siano refurtiva è ovviamente l’aspetto sostanziale della vicenda. Ma quand’anche quella somma, e tutte le altre del pacchetto Mose, fossero il frutto di transazioni lecite, è inevitabile domandarsi quando e come si è perduto ogni nesso (nesso etico, ma anche nesso logico) tra il denaro e il lavoro; e dove e quando sarà possibile, quel nesso, recuperarlo o rinnovarlo. La sempre detestabile demagogia non c’entra. C’entra lo sgomento più assoluto di fronte allo spaventoso scardinamento del rapporto tra il merito degli individui, la loro fatica, e il frutto di quel merito e di quella fatica. Il socialismo metteva l’accento sui bisogni, il capitalismo lo ha messo sul merito, e per questa ragione ha vinto. Ora, rinnegando il merito, il capitalismo ha ucciso se stesso.

LA CORRUZIONE CHE CI CIRCONDA
Gustavo Zagrebelsky – Libertà e giustizia 04/06/2014

Mi sono fatto alcune domande su voi, su noi che siamo in questa piazza. Nessuno di voi è venuto qui pensando di trarne un tornaconto. Siete qui per puro interesse civile e per puro impegno civile, non siete venuti qui per farvi vedere, per dire al potente di turno o che si pensa lo possa diventare, io ci sono. Questa è una bella speranza per il nostro paese perchè una delle ragioni della corruzione e della disonestà dilagante è appunto il fatto che nessuno fa più nulla per nulla. Un’altra considerazione. Gli applausi. Vi siete sentiti dire delle cose che dette da qui vi sembrano così chiare che non può che essere così. E’ come se si fosse sollevato un velo e voi abbiate tirato un sospiro di sollievo su qualcosa che ci opprime. Lo diceva Marco Travaglio prima, liberatevi dal conformismo, non abbiate paura delle vostre idee e tanto più le idee sono originali e non conformate all’ideologia corrente tanto più sono una ricchezza della democrazia.

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TRASMETTERE IL SAPERE DA LACAN A OGGI IL MAESTRO SA INSEGNARE SOLO SE PARLA AI MURI

Massimo Recalcati – La Repubblica.it Archivio 02/06/2014

Qualcosa sembra accomunare l’esperienza dell’insegnamento a qualunque livello essa avvenga, dalle scuole elementari sino all’Università e oltre. Ogni insegnante, a suo modo, ne ha fatto esperienza sulla sua pelle: ha parlato ai muri. L’insegnamento porta con sé, sempre, una inevitabile esperienza di solitudine nonostante in esso si tratti di trasmettere un sapere, di farlo circolare, di condividerlo con altri. Parlare ai muri è la condizione strutturale di ogni insegnamento perché in ogni insegnamento è in gioco un impossibilità. Quale? Quella di una trasmissione integrale, senza resti, trasparente del sapere.


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