VARIE

VVV
STEFANO RODOTÀ DENUNCIA LA DERIVA EUROPEA
Queste parole dello scrittore ceco Milan Kundera si attagliano in modo particolare al nostro Paese, dove da oltre 20 anni è in corso un processo di liquidazione della memoria che in questo tempo contorto si è trasformato in un vero e proprio uragano e si appresta a cogliere la sua vittoria definitiva attraverso una incisiva controriforma della democrazia costituzionale attuata mediante l'interazione fra la riforma elettorale e la revisione della Costituzione.
Grandi sono poi le disparità tra i Paesi più avanzati (ad esempio tra Scandinavia e Italia) ma anche all’interno dei singoli Paesi: un esempio clamoroso di digital divide è il fossato che separa le zone urbane e metropolitane dalle aree montane e rurali degli Stati Uniti. Tanto profondo da alimentare il già diffuso disincanto degli elettori verso l’amministrazione Obama.
Ma non meno drammatiche sono le distanze culturali nel «mondo avanzato». Questo secondo digital divide è particolarmente accentuato in Italia, dove molto poco, finora, è stato fatto per contrastare il fenomeno. Sul quale pesa di certo l’inadeguatezza dell’attrezzatura tecnologica ma che, a sua volta, genera un’insufficiente domanda di nuovi servizi digitali. Scarsa, ad esempio, è la pressione esercitata dall’opinione pubblica sullo Stato per ottenere buone forme di egovernment , cioè di burocrazia digitale chiara e comprensibile. Una parte dei cittadini preferisce la coda allo sportello all’impaccio davanti al computer.
Da un lato c’è il divario generazionale tra i nativi digitali e le persone più anziane. L’«alfabetizzazione tecnologica», tante volte invocata, non è mai stata neppure tentata in modo serio e su vasta scala. Il servizio pubblico radiotelevisivo, cui forse sarebbe spettato il compito di realizzare un’iniziativa del calibro di «Non è mai troppo tardi», aggiornata all’era digitale, non ha dedicato al tema un impegno adeguato. Nei Paesi scandinavi, al contrario, la semplificazione amministrativa è passata attraverso un’educazione all’ egovernment che ha coinvolto simmetricamente gli impiegati pubblici e gli utenti.
C’è infine, più nascosto ma non meno cruciale, un terzo tipo di digital divide , ed è quello nel mondo giovanile. In questa parte della società esistono le distanze forse più grandi e, in prospettiva, più importanti. Una delle rappresentazioni più in voga è quella dei ragazzi «tutti uguali», intontiti, curvi sullo smartphone , presi a scambiarsi informazioni irrilevanti sui social network . Peccato sia anche una delle più rozze e false.
Anche il mondo giovanile si sta, al contrario, polarizzando: da una parte ci sono, effettivamente, i giovani «schiavi» delle tecnologie della comunicazione, quelli che se ne fanno dominare, poco abili a gestire il proprio tempo, privi di «disciplina mediatica». Dall’altra però emerge un tipo di giovani che della tecnologia fa un uso attento e maturo, integra vecchi e nuovi media, ama la lettura, usa i mezzi a disposizione per un progetto di crescita. Il loro profilo, c’è da scommettere, coincide con quello dei giovani che trovano lavoro, in Italia o all’estero, oppure riescono a crearlo. Forse non sono la maggioranza ma l’esperienza quotidiana ci insegna che non sono pochi.
Un buon progetto culturale (e occupazionale) per l’Italia non può prescindere, in partenza, da una comprensione e da una valorizzazione del ruolo di questi giovani attrezzati: senza dimenticare i loro coetanei meno bravi.
Senza moneta nazionale, siamo ingabbiati in una doppia trappola, quella della liquidità e quella del debito. Siamo dipendenti dall'euro, dalle decisioni della Germania, il principale azionista dell'Unione Europea e della Banca Centrale Europea: ma né la UE né la BCE ci tireranno fuori dalla crisi, anzi!
MODERNITA’. L’EGUAGLIANZA NON E’ PIU’ LA VIRTU’
Marco Revelli – Il fatto quotidiano 30/10/2014
""L’opzione disegualitaria (o, più apertamente, anti-egualitaria) è stata – e in buona misura continua ad essere, anche se più mascherata – parte integrante della dogmatica neoclassica che ha offerto il proprio hardware teorico all’ideologia neoliberista fin dall’origine della sua lotta per l’egemonia, alla fine degli anni Settanta e per tutto il corso degli anni Ottanta del secolo scorso. L’idea che "un eccesso di uguaglianza faccia male all’economia" – o, più esplicitamente che "una buona dose di diseguaglianza faccia bene alla crescita" –, ha alimentato le politiche di deregulation prevalse nell’epicentro anglosassone e affermatesi nel circuito della globalizzazione. Ha motivato la rivoluzione fiscale, che ha drasticamente abbattuto le progressività delle aliquote e frenato le politiche redistributive negli Stati Uniti e in Gran Bretagna; e ha generato le dure conditionalities dei Programmi di aggiustamento strutturale (Structural Adjustment Programs) del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale, fortemente incentrate sulle priorità del taglio della spesa sociale, sulla rimozione del controllo dei prezzi e la riduzione dei sussidi statali, sulla focalizzazione della produzione sulle esportazioni, sulle privatizzazioni e sul perfezionamento dei diritti del capitale d’investimento estero rispetto alle leggi nazionali.
OLTRE, naturalmente, ad aver permeato gli insegnamenti economici impartiti da un numero crescente di cattedre delle più accreditate università, nelle business school, nei think tank e nelle pubblicazioni di un gran numero di fondazioni.
"L’eguaglianza non è più una virtù" potrebbe essere assunto come il motto che ha contraddistinto la massiccia e articolata reazione anti-keynesiana di fine secolo: dopo un cinquantennio nel quale l’eguaglianza, in qualche misura, il valore sociale prevalente – l’"idea regolativa" sulla quale si erano orientate le politiche pubbliche dell’Occidente democratico e le stesse Carte costituzionali dei paesi civili –, si registrava, esplicitamente, un punto di rottura. Una sorta di rovesciamento, che anche là dove l’eguaglianza non veniva identificata come un ostacolo al "progresso economico", la si retrocedeva comunque da valore finale a funzione strumentale. O la si poneva non più come presupposto ma, tutt’al più, come conseguenza dello sviluppo, da perseguire con altri mezzi, compreso quello di un’iniziale opzione disegualitaria.
Lo scenario nel quale quella "rottura" si è prodotta era – lo ricordiamo – segnato da una crisi profonda del modello che aveva caratterizzato la parte centrale del secolo, in particolare il trentennio 1945-1975, definito da Eric Hobsbawm come "l’età dell’oro" del suo "secolo breve " e che i francesi chiamano le "trenta gloriose".
Da un lato la stagflazione – l’intreccio paralizzante di un elevato processo di inflazione e di una altrettanto grave stagnazione – si presentava come un male economico refrattario alle tradizionali politiche anticicliche e offriva l’immagine di un punto di arresto o comunque di un tetto raggiunto dallo sviluppo difficilmente superabile con i mezzi tradizionali.
Dall’altro lato, la cosiddetta "crisi fiscale dello Stato" – caratterizzata da un emergente debito pubblico pur in presenza di una pressione fiscale ai propri massimi – limitava i margini d’intervento delle autorità politiche e delle agenzie pubbliche, lasciando intravvedere nell’insostenibile carico fiscale il principale ostacolo alla ripresa della crescita nei paesi a capitalismo maturo. Per parte sua, la globalizzazione incipiente lasciava intravvedere la possibilità di un’espansione esogena della domanda, grazie all’ampliamento e all’integrazione dei mercati su scala planetaria. Non stupisce che in un simile contesto si sia strutturato, e sia diventato rapidamente egemone, un paradigma socio-economico orientato alla rottura di tutti i precedenti compromessi sociali – quelli che, fino ad allora, avevano contribuito a formare l’idea prevalente di "società giusta" e che ora apparivano responsabili dell’insopportabile overload delle finanze pubbliche – e basato su una rinnovata centralità del mercato e sulla prospettiva di uno sviluppo trainato prioritariamente dall’offerta (supply-side) – in contrapposizione alle teorie keynesiane che si focalizzavano sulla domanda aggregata (demand-side) – nonché sull’effetto incentivo di una minore tassazione per la formazione di capitali disponibili all’investimento pubblico.""
UN PARADIGMA, possiamo aggiungere, nel quale i grandi temi che avevano segnato il lungo ciclo precedente – la questione della piena occupazione, da un lato, e quella della povertà, dell’altro – finivano per assumere una posizione secondaria (così è per le politiche di contrasto alla povertà, ridimensionate con l’argomento dell’"azzardo morale") o addirittura alternativa (un certo tasso di disoccupazione poteva essere considerato funzionale all’abbassamento del costo del lavoro). Un paradigma, appunto, nel quale l’ineguaglianza cessava di essere considerata un vizio per trasformarsi, entro certi limiti, in risorsa.""
L'AMACA
Michele Serra – La Repubblica 29/10/2014
UN QUARTO delle case italiane è disabitato, ma la superficie cementificata (secondo i dati del censimento 2011) è raddoppiata negli ultimi vent'anni. La produzione di cibo mondiale sarebbe in grado di sfamare dodici miliardi di persone (stima Fao), ma circa un miliardo degli attuali viventi patisce la fame, e secondo alcune stime non viene consumato circa il quaranta per cento del cibo disponibile. È dunque la cattiva o maldestra o iniqua gestione di ciò che abbiamo, a doverci preoccupare; non la quantità insufficiente di beni, ma la qualità scadente della loro distribuzione e — soprattutto — della distribuzione del potere d'acquisto tra gli umani. Nel mondo non si muore di fame perché non c'è cibo a sufficienza, ma perché mancano i soldi per comperarlo. In Italia non si è senza casa perché non ci sono case, ma perché ai proprietari conviene tenerle sfitte, o sono troppo brutte e deteriorate, o troppo care per chi le cerca. Bisognerebbe dirlo in modo meno schematico: ma ogni discorso che enfatizza la quantità (più cemento, più cibo per ettaro, più consumo dei suoli) odora di vecchio e/o di speculazione; ogni discorso sulla qualità è vitale, socialmente generoso, culturalmente nuovo. Di questo scontro epocale tra quantità mitizzata e qualità trascurata la politica discute pochissimo. Anche per questo è sempre meno appassionante.
L'AMACA
Michele Serra – La Repubblica 28/10/2014
DICE papa Francesco che la teoria del Big Bang non contraddice affatto l'idea della Creazione. È la conferma, ennesima, della sua generosa, dinamica visione intellettuale. Il problema, però, è spiegare a legioni di esseri umani, specie quelli di fede veterotestamentaria, che ci sono più o meno quattro miliardi di anni di differenza tra il supposto Big Bang individuato dalla scienza e la supposta creazione del mondo secondo il Libro. In quei miliardi di anni, che i fossili certificano implacabili ma la Bibbia — per forza di cose — ignorava, come hanno passato il loro tempo la roccia, l'acqua, il protozoo, il pesce, il ragno, la felce, l'albero, buon ultimo l'uomo, insomma le creature? Passare dalla certezza del dogma all'accettazione dell'ignoto può essere dolorosissimo. I creazionisti americani lottano perché l'evoluzionismo "blasfemo" non sia insegnato nelle scuole, e l'idea che il mondo, completo di ogni accessorio, sia nato tutto insieme grazie a uno "snap" delle dita di un demiurgo, è molto più diffusa di quanto pensiamo. Il mistero terrorizza, la certezza conforta. Per consolarci riascoltiamo (papa Francesco la apprezzerà di certo) l'ottima parodia del creazionismo offerta nella "Genesi" di Francesco Guccini: «C'era un vecchio con la barba bianca, lui e la sua barba, il resto era vuoto».
SE IL PAPA AMA IL DIALOGO VERO PIÙ DELLA VERITÀ
Zygmunt Bauman – La Repubblica 21/10/2014
MACIEJ Zieba adopera il concetto di "società veritale" per significare quella forma di coesistenza umana in cui «l'intera vita individuale, dalla culla alla tomba, così come la vita collettiva» sono imperniate su «una verità trascendente universalmente riconosciuta». E per chiarire che forma ha in mente, Zieba si affretta ad aggiungere che «questo vale non solo per gli Aztechi e i Masai ma anche per i seguaci di Marx e Mao, e per chi nutre una fiducia acritica e quasi-religiosa nella fisica e nella genetica». Aggiungerei i credenti quasi religiosi nel Pil, nel commercio, nell'informatica. In tutti questi casi la divinità è una; questo tratto comune relega ai margini le differenze tra un caso e un altro.
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SE LO ZINGARO DIVENTA UN CAPRO ESPIATORIO
Chiara Saraceno - La Repubblica.it Archivio 01/10/2014
GLI zingari che rubano i bambini. Uno stereotipo tanto radicato e diffuso quanto privo di ogni fondamento, di ogni evidenza empirica e persino di ogni plausibile spiegazione. Perché mai gli zingari dovrebbero rubare i bambini, infatti, come se non ne avessero abbastanza dei loro? Eppure, sembra essere la prima cosa che viene in mente, che viene ritenuta plausibile, non solo quando un bambino, effettivamente, sparisce, ma anche quando un bambino della comunità zingara è troppo biondo e chiaro di pelle "per essere davvero figlio loro", scatenando ipotesi fantasiose di rapimento.
L'ARTICOLO 18 CHE DIVIDE LA SINISTRA
Nadia Urbinati - La Repubblica.it Archivio 01/10/2014
SE IL Pd é riuscito a trovare una qualche unità sui temi della riforma costituzionale, sembra invece molto più diviso sul tema del lavoro; e la decisione della sua direzione nazionale lo conferma. Non vi é di che stupirsi. La Sinistra é nata in occidente insieme al lavoro salariato, per rappresentarne le esigenze e però anche le potenzialità di trasformazione sociale.
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SIAMO IN FONDO ALLA CLASSIFICA PER L'INDICE DI GIUSTIZIA SOCIALE
Andrea Tarquini – La Repubblica 16/09/2014
In Italia le misure d'austerità imposte dagli imperativi di risanamento dei conti sovrani e di salvataggio dell'euro hanno pesantemente aggravato le disuguaglianze sociali e le ingiustizie e raddoppiato il numero dei poveri: il 12,4 per cento del totale della popolazione. E quanto a inclusione sociale, cioè alla capacità di inserire le persone nella vita sociale e lavorativa normale, il nostro paese è sceso al ventiquattresimo posto sui ventotto paesi dell'Unione europea. Soltanto l'Ungheria dell'autoritarismo nazionalista del premier Viktor Orbàn, la Romania, la Bulgaria (cioè il più povero dei paesi dell'Unione europea) e la Grecia stremata dall'iperindebitamento e dalle draconiane misure di rigore imposte dalla Troika, stanno peggio di noi.
IL VALORE DELLA DIGNITÀ QUELLA FRAGILE BARRIERA CONTRO LA BARBARIE
Gustavo Zagrebelsky – La Repubblica 12/09/2014
Lo spirito del nostro tempo è orientato alla dignità, come un tempo lo fu alla libertà, all'uguaglianza davanti alla legge, alla giustizia sociale. Tutti s'ispirano, o dicono d'ispirarsi, alla dignità degli esseri umani, soprattutto dopo lo scempio che ne hanno fatto i regimi totalitari del secolo scorso. Tutto bene, allora? Finalmente un concetto e una concezione dell'essere umano – un'antropologia – in cui si esprime un valore sul quale tutti non possiamo che concordare? Un pilastro sul quale un mondo nuovo può essere costruito? Cerchiamo di darci una risposta, lasciando da parte le buone intenzioni, le illusioni.
PERCHÉ QUELLA RIFORMA NON MI PIACE
Elena Cattaneo – La Repubblica 09/09/2014
CARO direttore, in Italia è difficile affrontare le questioni e discuterle usando i dati e gli strumenti migliori che le esperienze del passato e le conoscenze del presente mettono a disposizione. In altre parole, sembra che cercare di illustrare fatti provati faccia scattare in una buona parte della politica la messa in discussione — a volte anche livorosa e irrazionale — dell'utilità e del valore delle competenze, o di una conoscenza e uso dei fatti. Da qualsiasi parte arrivino. E queste modalità si perpetuano su molti argomenti trattati.
LA COSTITUZIONE E IL GOVERNO STILE EXECUTIVE
Gustavo Zagrebelsky – La Repubblica.it Archivio 06/08/2014
DEL Senato della nuova era, tutto il dicibile è stato detto e ridetto. Ora non si tratta più d'idee, ma di numeri, di patti misteriosi che "tengono" o "non tengono", di "aperture" o "chiusure", cioè di strategie politiche. Interessa, invece, lo sfondo: ciò che crediamo di comprendere della nostra crisi e delle sue forme. Che valore hanno il tanto pervicace impegno per "le riforme" costituzionali e l'altrettanto pervicace impegno contro? Pro e contra, innovatori e conservatori. I pro accusano i contra di non voler assumersi le responsabilità del cambiamento che il momento richiede e di difendere rendite di posizione dissimulandole come difesa della Costituzione. I contra, a loro volta, accusano i pro di coltivare la vacua ideologia del nuovo e del fare a ogni costo, in realtà servendo interessi ai quali ostica è la democrazia. Le ragioni della divisione sono profonde, spiegano l'asprezza del contrasto e giustificano le preoccupazioni.
ZYGMUNT BAUMAN: HAMAS E NETANYAHU PENSANO SOLO ALLA VENDETTA
AntonellaGuerrera intervista Zigmunt Bauman – La Repubblica 05/08/2014
"Ciò a cui stiamo assistendo oggi è uno spettacolo triste: i discendenti delle vittime dei ghetti nazisti cercano di trasformare la striscia di Gaza in un altro ghetto ". A dirlo non è un palestinese furioso, ma Zygmunt Bauman, uno dei massimi intellettuali contemporanei, di famiglia ebraica e sfuggito all’Olocausto ordito da Hitler grazie a una tempestiva fuga in Urss nel 1939. Bauman ha 88 anni, suo padre era un granitico sionista e negli anni ha sviscerato come pochi l’aberrazione e le conseguenze della Shoah. Sinora il grande studioso polacco non si era voluto esprimere pubblicamente sulla recrudescenza dell’abissale conflitto israelo-palestinese. Ora però, dopo aver accennato alla questione qualche giorno fa al Futura Festival di Civitanova Marche in un incontro organizzato da Massimo Arcangeli, Bauman confessa la sua amarezza in quest’intervista a Repubblica.
UNA VOCE EUROPEA NELLE CRISI DEL MONDO
Lucio Caracciolo – La Repubblica.it Archivio 05/08/2014
LA CRISI ucraina è sfuggita di mano ai suoi ideatori. Nelle intenzioni di Obama, scopo del cambio della guardia a Kiev era " to keep Putin honest": ricordare al capo della Russia quale fosse il suo posto, dopo che su troppi dossier — Egitto, Siria, Snowden — si era preso libertà eccessive. Colto di sorpresa dalla fuga di Janukovich, il leader del Cremlino aveva prima cercato di limitare la sconfitta rimettendo le mani sulla Crimea, eccitando il parossismo iperpatriottico che sempre anima i russi quando si sentono aggrediti e alimentando la guerriglia separatista nell'Ucraina dell'Est per arrivare a un compromesso accettabile con Poroshenko. Sia Obama che Putin hanno perso il controllo dei rispettivi agenti in Ucraina, attenti ai propri interessi prima che a quelli dei loro presunti ma- novratori. Washington e Mosca rischiano ora la collisione frontale.
LA DEMOCRAZIA PER CASO
Ilvo Diamanti – La Repubblica.it Politica 04/08/2014
PER definire il disegno di riforma istituzionale avviato dal governo, si parla apertamente di deriva autoritaria. O di attentato golpista alla Costituzione. Mentre Matteo Renzi viene, per questo, descritto come un Pinochet. Un Piccolo Dittatore.
IL CORAGGIO DI CAMBIARE: IL NUOVO URUGUAY DI PEPE MUJICA
Giacomo Russo Spena – MicroMega online 03/08/2014
Un libro ricostruisce la storia del "Presidente Impossibile", da guerrigliero tupamoros a Capo dello Stato. Stile di vita sobrio, si definisce socialista e libertario e sta trasformando il Paese legiferando soprattutto sui diritti civili: un laboratorio interessante – come un po’ tutta l’America Latina – da studiare e analizzare.
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IRRIVERENZA
Lidia Menapace Italia Laica 31.07.2014
Poiché questa favoletta seguita a girarmi in testa, la scrivo, pur sapendo che è irriverente e chiedendo scusa in anticipo a chi se ne sentirà colpito.
Dunque, i e le seguaci di ogni dio unico, cioè coloro che si considerano appartenenti a una delle tre religioni monoteiste, tra di loro si sono trattati nei secoli in molti modi non generalmente urbani, tra guerre sante crociate e inquisizioni non c'è che l'imbarazzo della scelta. Per fortuna -dico- , ringraziando la provvidenza (dicono i fedeli) e anche un po' la Rivoluzione francese (sia pure con anche tutti i suoi eccessi ghigliottineschi e bellicisti e patriarcali, ma certo) oggi ufficialmente quei seguaci un tempo acerbi nemici armati, si ritrovano al massimo livello di rappresentanza (per cui di solito non c'é tra loro nemmeno mezza donna) e si scambiano riconoscimenti e complimenti, pregano insieme, e mandano messaggi al mondo chiedendo pace e magari anche giustizia. Benissimo, prendo atto del cambiamento, anche se osservo sarcasticamente che, almeno in parte tutto questo uso di solennissimi salamelecchi, dipende anche dal disinteresse verso le religioni, che è in grande aumento e suggerisce di non dividersi, ma di fare per quanto possibile "fronte comune".
Benissimo, ma immaginando che i tre dei unici si incontrino, che si diranno? Dall'alto della sua ben più antica storicità il dio dell'Antico testamento guarderà gli altri due con alterigia, poi insieme col secondo unico dio , quello cristiano, si rivolgeranno al terzo dio unico, chiamandolo giovanotto di belle speranze e capriccioso? Oppure faranno finta di non conoscersi e ciascuno di loro seguiterà a proclamarsi unico solo e vero? infatti chi è unico, come può avere dei pari? Insomma mi piacerebbe che qualcuno scrivesse un piccolo testo teatrale da leggere in pubblico: dite che è troppo? che è offensivo?
Ma allora che dire delle processioni che fanno inchinare la statua della Madonna (una specie di dea) davanti alla casa del capomafia? o della tomba di padre Pio, santo idolatrato e oggetto di un culto palesemente superstizioso e causa di enormi sprechi per costruirgli appunto una tomba meta di pellegrinaggi ben più di quella di papa Giovanni?
Mi fermo altrimenti esagero ciao, lidia
IL PARROCO DI BIBIANA IMPEDISCE L’APERTURA DELL’ASILO COMUNALE
Dal sito della Consulta torinese per la laicità delle Istituzioni 02/08/2014
La Consulta Torinese per la Laicità delle Istituzioni richiama l’attenzione di tutti i cittadini e delle istituzioni pubbliche sulla scandalosa vicenda che è emersa alla cronaca di questi ultimi giorni relativamente alla scuola dell’infanzia comunale di Bibiana (TO) che non può essere aperta per un veto del Parroco del paese.
LA RICERCA DELLE RADICI
Maria Novella De Luca – La Repubblica.it Archivio 31/07/2014
LA RICERCA delle radici. L'albero da cui si proviene, nel nome del padre, ma soprattutto della madre. Quali sono i diritti di un figlio adottato, o nato da una fecondazione eterologa, di conoscere la propria origine? Ed è giusto che l'anonimato di una "madre segreta" o di un donatore di gameti venga svelato per rispondere al bisogno di un figlio o di una figlia di riallacciare i legami di una storia interrotta? C'è un filo rosso che in questa estate mutevole congiunge tre fatti, sui quali in autunno il Parlamento sarà chiamato (non senza difficoltà) a scrivere o a riscrivere norme. E per tutte e tre le questioni il concetto contestato, auspicato o controverso è "l'anonimato".
SE LA STORIA FAMILIARE DIVENTA UN DILEMMA ETICO
Michela Marzano – La Repubblica.it Archivio 31/07/2014
DA DOVE vengo? Chi sono? Domande come queste, prima o poi, ce le poniamo tutti. Perché nessuno di noi sa esattamente chi sia. Anche quando di certezze ce ne sono tante. E fin da piccoli, parenti e amici non hanno fatto altro che ripeterci quanto somigliavamo alla nonna o alla zia, e quanto il nostro sorriso o i nostri occhi fossero come quelli di papà o di mamma. Figuriamoci allora che cosa può accadere a chi, adottato o nato grazie ad una fecondazione eterologa, di certezze ne ha molte meno. E talvolta deve fare i conti, fin da piccolo, con segreti e bugie. I propri genitori sono papà e mamma, certo. Ma che cosa è accaduto prima? Quale Dna si portano dentro?
L'AMACA
Michele Serra – La Repubblica.it Archivio 30/07/2014
S ANTI e Madonne hanno sempre reso omaggio ai boss (e viceversa). La novità è che qualcuno, finalmente, ci fa caso e ci rimane male, e bastano un paio di telefonini occasionalmente non dediti al selfie per documentare gli inchini di vicolo e di contrada, come un paio di settimane fa in Calabria e ieri l'altro a Palermo. Va detto che anche la più severa delle religioni ha qualche difficoltà a selezionare i suoi fedeli. Alle funzioni e ai riti di ogni epoca e latitudine hanno certamente assistito notevoli mascalzoni. Gesù cacciò dal tempio non i delinquenti, ma i mercanti (anche se migliaia di preti, imam, rabbini, addetti ai lavori li hanno sempre fatti rientrare dalla porta di servizio, purché versassero il loro obolo). E non c'è religioso o missionario che lavori nelle carceri e nel degrado sociale che non sappia raccontare quanto abbiano bisogno, i criminali, del conforto della religione. Se quegli inchini danno fastidio, dunque, non è perché includono nella comunità il delinquente. È perché rendono omaggio al potente. Quelle statue non si chinano pietosamente su chi ha sbagliato, ha peccato, ha fatto del male. Si inchinano con reverenza a un padrone. E una religione vassalla della gerarchia sociale, serva dei forti, è solo una inutile mascherata al servizio dei prepotenti e nemica della libertà.
NON SCHERZATE COL FUOCO I DIRITTI VANNO DIFESI E MOLTO RESTA DA FARE
Nadia Urbinati – La Repubblica.it Archivio 26/07/2014
NON da oggi, la diaspora è una caratteristica dei movimenti di emancipazione soprattutto quando le loro lotte hanno registrato successi. «Il femminismo non serve più», è «una cultura tossica», dicono le giovanissime che hanno dato vita a Women Against Feminism . Vogliono essere «individui e basta ». Possono dirlo perché c'è stato il femminismo e i giudici e le corti sono molto sensibili ai temi della discriminazione di genere. Per questo nelle facoltà di legge le diplomate hanno sorpassato i diplomati.
È comprensibile che le ragazze sentano insopportabile il peso della differenza; ma c'è il rischio che anche qui succeda quel che è successo per le classi lavoratrici, che hanno visto cancellati i diritti di tutela del lavoro in cambio di nulla. Si può capire il senso di liberazione che hanno le giovani ribelli quando dicono di potersela cavare da sole. Ma la recrudescenza della lotta sociale dovrebbero far pensare che i diritti non sopravvivono da soli, senza la loro sorveglianza. E poi, le cose non vanno proprio così bene: spesso gli stipendi delle donne sono a uguale produttività meno alti di quelli dei colleghi maschi, e la presenza femminile diminuisce più si sale la scala gerarchica. Non scherziamo col fuoco care ragazze: quando si tratta di combattere per una carriera mai acquisita, di contrattare un tempo di lavoro più elastico per chi voglia godere della libertà di fare figli, la legittima volontà di essere eguali si scontra con una realtà recalcitrante all'eguale opportunità. Siamo proprio certe che «amo cucinare per il mio uomo e pulire la casa» non si riveli una trappola mortale per cui, oltre alle pentole e all'aspirapolvere resta molto poco e quel che resta ha anche minor valore sul mercato?
LE CONTRADDIZIONI DELLA SCUOLA PARITARIA
Nadia Urbinati – La Repubblica.it Archivio 22/07/2014
LA VICENDA dell'insegnante messa sotto inchiesta dalla madre superiora di una scuola privata di orientamento cattolico e parificata non ha dell'incredibile. È incredibile che ci si stupisca e si continui a sostenere — come da anni si fa — che la scuola pubblica comprende sia le scuole statali sia quelle private parificate. Il pubblico è uno, dicono i sostenitori del finanziamento pubblico alle scuole private per raggirare l'Art. 33 della Costituzione che afferma chiaramente essere le scuole private libere e "senza oneri per lo Stato". I retori che non vedono di buon occhio questa norma hanno sofisticamente ridefinito il pubblico e... abracadabra, ecco che tutte le scuole paritarie sono pubbliche come quelle statali!
QUEI PICCOLI CORPI SULLA SABBIA DI UNA PRIGIONE A CIELO APERTO
Adriano Sofri – La Repubblica.it Archivio 17/07/2014
PER il modo in cui il colpo ha schiacciato il viso nella sabbia sporca, ha invertito il sopra e il sotto, il davanti e il di dietro degli arti. Si sceglierà di non pubblicarla quella foto, di sostituirle un'altra, che mostri quello che è accaduto, e però si tenga un passo di qua dal troppo orrore. Ci si interrogherà anche su come sia stata scattata, sul fondale di spiaggia vuota, prima dell'impulso a correre a toccarlo, ricomporlo, sollevarlo.
Su tutto ci si interroga in questa quarta guerra di Gaza, una specie di Biennale dell'odio e del furore. Sulle fotografie falsificate, sulla provenienza dei proiettili, sulle intenzioni reciproche. Ci si interroga su tutto perché niente ha senso.
"IL CERVELLO ARTIFICIALE È UNO SPRECO DI SOLDI" SCIENZIATI IN RIVOLTA CONTRO IL PROGETTO UE
Silvia Bencivelli – La Repubblica.it Archivio 14/07/2014
PIÙ di un miliardo di euro pubblici per la ricerca sul cervello. E seicento scienziati che protestano, chiedendo di bloccare il finanziamento. Non è il mondo capovolto: è quello che sta realmente succedendo in questi giorni nei laboratori europei. Pomo della discordia è il mastodontico Human Brain Project: un progetto in cui sono coinvolte più di cento istituzioni scientifiche di ventiquattro paesi, che ha lo scopo di costruire un computer capace di simulare il funzionamento del cervello umano. In realtà sarebbe un'idea ambiziosa, prematura e disorganizzata, secondo i ricercatori di mezza Europa, che rischia di farci sprecare i pochi soldi che destiniamo alla scienza. Per questo oggi chiedono di bloccare tutto.
UNA POLITICA PER I POVERI
Chiara Saraceno – La Repubblica.it Archivio 12/07/2014
NEGLI anni della crisi il numero di coloro che si trovano in condizione di povertà assoluta, cioè impossibilitati a sostenere le spese necessarie alla sussistenza materiale, è raddoppiato, passando da 2,4 milioni di persone nel 2007 a 4,8 milioni nel 2012 (e non ci sono indicazioni tali da far ritenere che nel 2013 le cose siano andate meglio). Benché le differenze territoriali si siano ulteriormente allargate, con il Mezzogiorno sempre più impoverito, la povertà morde anche nel Centro-Nord.
LA SPIRALE INFINITA NEL CAOS MEDIORIENTALE
Perché il copione questa volta non potrà ripetersi
Lucio Caracciolo – La Repubblica.it Archivio 10/07/2014
PARREBBE la solita storia. Hamas provoca, Israele risponde. Fitti lanci di razzi palestinesi da Gaza dapprima contro località israeliane di confine, poi verso le principali città, Gerusalemme e Tel Aviv incluse; aerei con la stella di Davide a sganciare missili "intelligenti" su Gaza, che producono decine di vittime civili; segue spedizione punitiva di Tsahal, stivali per terra nella Striscia. SALVO rientro alle basi entro un paio di settimane. Tutti pronti a ricominciare dopo congruo intervallo.
Ma lo scontro in corso è davvero una replica del tragico refrain scritto dai protagonisti fin dalla crisi del dicembre 2008? Non proprio. È cambiato il contesto.
LA FORMULA DELLA DISUGUAGLIANZA
Moisè Naim – La Repubblica.it Archivio 10/07/2014
DI CHI è la colpa dell'eccezionale crescita della disuguaglianza negli ultimi anni? Dei banchieri, sostengono in tanti. Secondo questa visione, il settore finanziario è colpevole di aver innescato la crisi economica globale che è cominciata nel 2008 e ancora fa sentire i suoi effetti su milioni di famiglie di classe media in Europa e negli Stati Uniti, che hanno visto diminuire il potere d'acquisto e assottigliarsi le prospettive di impiego. Lo sdegno è amplificato dal fatto che non solo i banchieri e gli speculatori finanziari non hanno pagato il prezzo dei loro clamorosi errori, ma in molti casi sono addirittura più ricchi rispetto a prima del disastro.
PERCHÉ SIAMO IL PAESE DELL'INCULTURA SCIENTIFICA
Carlo Rovelli – La Repubblica.it Archivio 09/07/2014
PENSO che la scuola italiana sia fra le migliori del mondo. Paradossalmente, penso lo sia soprattutto per chi vuole dedicarsi alla scienza, come ho fatto io. Non per caso giovani italiani brillano in tutti i migliori centri di ricerca del mondo. Hanno qualcosa che altri paesi fanno fatica a offrire: non solo fantasia e creatività, ma soprattutto un'ampia, solida e profonda cultura. Sono convinto che studiare Alceo, Kant e Michelangelo offra a uno scienziato strumenti di pensiero più acuminati che non passare ore a calcolare integrali, come fanno i ragazzi delle scuole d'élite di Parigi. Sapere, conoscenza, intelligenza, formano un vasto complesso dove ogni parte si nutre di ogni altra. La nostra intelligenza del mondo si basa su tutto ciò insieme. Questo insieme è la cultura. Non voglio dire che per fare buona scienza sia strettamente necessario avere tradotto versi di Omero dal greco, o leggere Shakespeare, però penso che aiuti molto. Mi sono trovato spesso a lavorare con colleghi di formazione assai diversa.
LA VOCE CONTRO LA RIABILITAZIONE DI SPINOZA
Piergiorgio odifreddi – La Repubblica.it Archivio 06/07/2014
STEVEN Nadler è uno storico della filosofia americano, specialista di Spinoza e autore di una trilogia su di lui: Baruch Spinoza e l'Olanda del Seicento , Un libro forgiato all'inferno: lo scandaloso Trattato di Spinoza e L'eresia di Spinoza ( Einaudi). Recentemente, sul forum di filosofia The Stone Nadler è stato protagonista di un dibattito che ha fatto discutere, a proposito delle condanne subite nel 1633 da Galileo in Italia, e nel 1656 da Spinoza in Olanda. Fu l'Inquisizione a processare Galileo, per le sue idee contrarie alla dottrina cattolica, dall'eliocentrismo all'atomismo. E fu la comunità ebraica di Amsterdam a bandire il filosofo, per le sue idee contrarie alla dottrina biblica, dalla negazione dell'ispirazione divina delle Scritture al rifiuto del valore etico dell'ebraismo. Dopo quattro secoli, la Chiesa di Roma ha parzialmente riabilitato Galileo, e la comunità ebraica di Amsterdam si domanda se riabilitare Spinoza. Interpellato come esperto, Nadler ha preso posizione contro la riabilitazione di Spinoza. Non perché d'accordo con il reazionario editto del passato, ma perché Spinoza stesso non avrebbe voluto aver niente a che fare con la comunità da cui si era coraggiosamente staccato. Sia Galileo che Spinoza hanno aperto le strade alla modernità: non sono loro a dover esser riabilitati, ma coloro che li hanno condannati a poter essere perdonati.
POST, IBRIDA O IN CRISI COSÌ SI TRASFORMA UNA DEMOCRAZIA
Giulio Azzolini – La Repubblica.it Archivio 04/07/2014
DIECI anni fa Colin Crouch le aveva anteposto un enigmatico prefisso: "post—". Nel 2006, alle soglie del collasso di Wall Street, Pierre Rosanvallon condensava la sua atmosfera in una parola, "sfiducia". E cinque anni dopo, con l'Europa in recessione e l'Italia soffocata dallo spread, Carlo Galli segnalava il suo "disagio", mentre Alfio Mastropaolo si chiedeva se non fosse una "causa persa". Il dibattito politologico sulla democrazia nel ventunesimo secolo ha finito per aggrovigliarsi sempre di più intorno alla "crisi della democrazia". Non a torto, considerato l'aumento delle proteste, del non voto e del voto di protesta. Quattro libri usciti da poco in Italia, però, testimoniano una svolta meno pessimista e focalizzata non già sulla nozione di crisi ma piuttosto su quella di trasformazione. Ecco il denominatore comune di volumi peraltro diversi, come quelli di Nadia Urbinati, Ilvo Diamanti, Leonardo Morlino e Stefano Petrucciani. Teoria, sociologia, scienza e filosofia politiche alleate nel tentativo di cogliere con precisione tanto i meccanismi e i processi empirici che incidono sulle performance democratiche quanto i criteri teorici che distinguono la trasformazione della democrazia dalla sua deformazione.
CONOSCERE LA MUSICA PER ESSERE PIÙ LIBERI
Giulio Giorello – Corriere della sera 04/07/2014
La musica è «arte da abolire come fonte di liberazione e libertà» e per questo «pericolosa per lo Stato», scriveva nel Seicento l?inglese Thomas Hobbes, teorico dell’assolutismo. Ma se avesse avuto ragione l?ebreo di Amsterdam Baruch Spinoza, nel sostenere che l?unica giustificazione dello Stato è la difesa della libertà dei cittadini, a quell?arte spetterebbe un ruolo centrale nella formazione delle giovani generazioni. Le pagine riguardanti l?educazione musicale nella scuola primaria e secondaria sono tra le più appassionate del volume che Luigi Berlinguer ha dedicato al rinnovamento della didattica: Ri-creazione , scritto con Carla Guetti (Liguori, pagine XIV-229, e 19,90).
CHIARA SARACENO: «MANCANO POLITICHE SOCIALI PER SOSTENERE LE LAVORATRICI»
Chiara Saraceno – L’Unità 02/07/2014
«Di fronte ai costi di certi servizi, come gli asili privati, tante mamme decidono di stare a casa Una tendenza da invertire»
«Da un lato c’è questo dato allarmante commenta la sociologa Chiara Saraceno -, ennesimo effetto della crisi, con la disoccupazione femminile che torna ad aumentare ben di più di quella maschile. Dall’altro c’è l’evidenza di un problema cronico, per risolvere il quale non può bastare la capacità delle donne, per quanto ammirevole, di organizzarsi, di cercare di conciliare la famiglia con l’attività lavorativa».
LE NUOVE GEOMETRIE DELLE DISUGUAGLIANZE
Chiara Saraceno – La Repubblica.it Archivio 29/06/2014
UN BENESSERE fragile, poco equo, perciò difficilmente sostenibile. È il quadro che emerge dal secondo rapporto, appunto, sul Benessere equo e sostenibile preparato dall'Istat e dal Cnel sulla base di 134 indicatori distribuiti su 12 aree rilevanti per il benessere degli individui e la tenuta della società. È un benessere fragile, non solo perché non si vede ancora la fine della crisi, l'occupazione continua a diminuire e la povertà, specie tra i minori, i giovani e le loro famiglie tende ad aumentare. Anche i miglioramenti che pure ci sono stati, ad esempio sul piano dell'istruzione, con l'aumento dei diplomati e laureati, o nell'utilizzo delle nuove tecnologie, sono insieme troppo lenti per colmare il gap con gli altri paesi europei, che anzi continua ad allargarsi, e non sostenuti da investimenti in ricerca e innovazione che consentano di valorizzarli. È un benessere poco equo perché la crisi ha rafforzato le disuguaglianze tradizionali nel nostro paese — a livello territoriale e di classi sociali — e ne ha create di nuove.
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QUEI TURISTI PER MOTIVI DI FAMIGLIA
Chiara Saraceno – La Repubblica.it Archivio 25/06/2014
NEGLI anni Sessanta e Settanta si andava all'estero per abortire. Ora si va all'estero per effettuare la riproduzione assistita con donatore o donatrice — che fino a poche settimane fa era proibita in Italia anche alle coppie ed ora continua ad esserlo alle donne sole — o per fare un Pacs o un matrimonio con una persona dello stesso sesso, o per avere un figlio con la mediazione di una donna che accetta di fare da gestante. Ci si va anche per ottenere un divorzio in tempi più brevi (cinque anni in media, secondo gli ultimi dati Istat) e con costi inferiori a quelli richiesti dalla macchinosa e punitiva legge italiana.
GLI EFFETTI COLLATERALI DELLA CORRUZIONE
Nadia Urbinati – La Repubblica.it Archivio 12/06/2014
LACORRUZIONE rende più poveri e meno liberi, e mina gravemente la reputazione del paese. Queste conseguenze collaterali tendono a essere oscurate dal fatto criminoso del quale danno conto quotidiano le cronache. Eppure, la ricaduta della corruzione sulla vita di tutti noi è un fattore sociale sul quale occorre concentrarsi con più insistenza se si vuole andare oltre la requisitoria morale. La corruzione danneggia tutti ed è nel nostro interesse prevenirla, svelarla e combatterla. L’esito di un sistema di corruzione non è infatti solo l’abuso di risorse pubbliche che potrebbero essere impiegate per il bene della comunità. È anche un’oggettiva condizione di privilegio e di dominio di cui gode chi usa metodi illeciti.
CHE COSA ALIMENTA LA DISOCCUPAZIONE
Luciano Gallino – La Repubblica.it Archivio 10/06/2014
NON è affatto vero che lo Stato spende troppo e bisogna quindi tagliarne le spese per tornare sul terreno virtuoso dello sviluppo. È vero invece che lo Stato spende troppo poco rispetto a quanto incassa, venendo così a mancare all’impegno di restituire ai cittadini le risorse che da loro riceve. Il danno maggiore questo squilibrio lo reca all’occupazione. Di fatto, da quasi due decenni la disoccupazione è spinta in alto dal fatto che lo Stato preleva ogni anno dal reddito degli italiani decine di miliardi in più di quanti non ne restituisca loro in forma di beni e servizi, mentre per lo stesso motivo l’economia è spinta in basso.
"A ORSONI SERVIVA IL VOTO DEI CATTOLICI" LA PISTA DEI FONDI NERI DIROTTATI SULLA CURIA
Corrado Zunino – La Repubblica.it Archivio 09/06/2014
I 450mila euro che il supremo tessitore Giovanni Mazzacurati sostiene di aver dato al sindaco (in uscita) di Venezia, Giorgio Orsoni, avrebbero alimentato il voto cattolico alla vigilia delle elezioni amministrative del 2010. Gli investigatori stanno trovando le prime conferme a questa pista giudiziaria. Orsoni, agli arresti domiciliari nella sua casa veneziana "alla fermata del vaporetto di San Silvestro", nega di aver ricevuto i 450 mila euro in nero, ammette solo i finanziamenti registrati (110 mila). Alle parole dell’accusatore Mazzacurati si sono aggiunte nel tempo, però, due conferme: la testimonianza a verbale di Piergiorgio Baita, già amministratore della Mantovani spa, capofila del Conzorzio Venezia Nuova guidato proprio da Mazzacurati, e quella di Federico Sutto, uno dei due cassieri del consorzio.
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UNA PROPOSTA PER IL SENATO
Stefano Rodotà – La Repubblica.it Archivio 07/06/2014
VI è un confortante dato di realtà che non dovrebbe essere trascurato da chi ancora ritiene che una riforma costituzionale sia cosa seria e impegnativa, dunque l’opposto di un uso congiunturale delle istituzioni. Lo spirito critico con il quale sono state valutate le proposte del Governo, che qualcuno aveva respinto come una indebita intromissione accademica nell’orto chiuso della politica, ha prodotto un frutto inatteso: una discussione diffusa, non riducibile a opinioni di parte, grazie alla quale si sono accumulati materiali che mostrano vie percorribili da ogni innovatore fedele ai principi della democrazia. Il tempo delle riforme costituzionali ha una sua caratteristica propria.
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CORRUZIONE
L’Amaca di Michele Serra – La Repubblica 06/06/2014
C OME è normale che sia, nelle conversazioni sulla retata veneziana la parte del leone la fa, anche per la sua solenne rotondità, quel milione all’anno di "vitalizio" che, secondo l’accusa, spetterebbe all’ex governatore Galan. La cifra è circa cinque volte il reddito annuale di un professionista di successo, circa dieci volte lo stipendio di un dirigente d’azienda e circa quaranta volte il salario di un operaio (un milione di euro equivalgono, in pratica, a una vita operaia). Che tutti quei quattrini — se la circostanza sarà provata — siano refurtiva è ovviamente l’aspetto sostanziale della vicenda. Ma quand’anche quella somma, e tutte le altre del pacchetto Mose, fossero il frutto di transazioni lecite, è inevitabile domandarsi quando e come si è perduto ogni nesso (nesso etico, ma anche nesso logico) tra il denaro e il lavoro; e dove e quando sarà possibile, quel nesso, recuperarlo o rinnovarlo. La sempre detestabile demagogia non c’entra. C’entra lo sgomento più assoluto di fronte allo spaventoso scardinamento del rapporto tra il merito degli individui, la loro fatica, e il frutto di quel merito e di quella fatica. Il socialismo metteva l’accento sui bisogni, il capitalismo lo ha messo sul merito, e per questa ragione ha vinto. Ora, rinnegando il merito, il capitalismo ha ucciso se stesso.
LA CORRUZIONE CHE CI CIRCONDA
Gustavo Zagrebelsky – Libertà e giustizia 04/06/2014
Mi sono fatto alcune domande su voi, su noi che siamo in questa piazza. Nessuno di voi è venuto qui pensando di trarne un tornaconto. Siete qui per puro interesse civile e per puro impegno civile, non siete venuti qui per farvi vedere, per dire al potente di turno o che si pensa lo possa diventare, io ci sono. Questa è una bella speranza per il nostro paese perchè una delle ragioni della corruzione e della disonestà dilagante è appunto il fatto che nessuno fa più nulla per nulla. Un’altra considerazione. Gli applausi. Vi siete sentiti dire delle cose che dette da qui vi sembrano così chiare che non può che essere così. E’ come se si fosse sollevato un velo e voi abbiate tirato un sospiro di sollievo su qualcosa che ci opprime. Lo diceva Marco Travaglio prima, liberatevi dal conformismo, non abbiate paura delle vostre idee e tanto più le idee sono originali e non conformate all’ideologia corrente tanto più sono una ricchezza della democrazia.
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TRASMETTERE IL SAPERE DA LACAN A OGGI IL MAESTRO SA INSEGNARE SOLO SE PARLA AI MURI
Massimo Recalcati – La Repubblica.it Archivio 02/06/2014
Qualcosa sembra accomunare l’esperienza dell’insegnamento a qualunque livello essa avvenga, dalle scuole elementari sino all’Università e oltre. Ogni insegnante, a suo modo, ne ha fatto esperienza sulla sua pelle: ha parlato ai muri. L’insegnamento porta con sé, sempre, una inevitabile esperienza di solitudine nonostante in esso si tratti di trasmettere un sapere, di farlo circolare, di condividerlo con altri. Parlare ai muri è la condizione strutturale di ogni insegnamento perché in ogni insegnamento è in gioco un impossibilità. Quale? Quella di una trasmissione integrale, senza resti, trasparente del sapere.